«Giochiamo, però facciamoli vincere, senza dare nell’occhio. Sbagliamo un paio di passaggi nella nostra area, tiriamo fuori anziché mirare e novanta minuti passano in un attimo»

A Sarnano, paesello in provincia di Macerata, il 1° aprile 1944 una folla inusuale si riversa ai lati del campo da calcio dietro la chiesa di San Filippo. Qualche giorno prima i tedeschi erano andati a bussare alla porta dell’abitante più illustre del borgo marchigiano, cioè l’arbitro Mario Maurelli, lo stesso che dal 1945 al 1958 dirigerà 98 partite di serie A. Maurelli all’arrivo dei soldati era terrorizzato, temeva che la causa della visita fosse il fatto che suo fratello Mimmo, divenuto partigiano dopo aver combattuto in Grecia e Albania e dopo aver spalato le macerie del bombardamento di San Lorenzo a Roma, era nascosto da due mesi sull’appennino insieme ad altri partigiani e disertori, che dopo l’8 settembre erano riusciti a procurarsi abiti civili e a tornare nei loro luoghi d’origine. In effetti Mimmo in qualche modo ci entrava, ma solo perché  -secondo il sergente tedesco- sarebbe stato in grado di trovare altri dieci calciatori che avrebbero preso parte a una partita di calcio che serviva a risollevare il morale delle sue truppe. “vostro fratello deve giocare la partita, voi dovrete arbitrare l’incontro”, queste erano le condizioni.

Un mese prima a Sarnano tre nazisti erano stati uccisi, e queste morti erano state attribuite a Decio Filipponi, comandante della Brigata “Val Fiastre”, consegnatosi ai nazisti per evitare rappresaglie dopo essere stato scovato a casa di suoi compagni di brigata, il 29 marzo 1944. Condannato a morte, “affrontava il capestro con l’anima dei forti, che le sevizie infertegli non erano riuscite a piegare”, come è scritto nella motivazione di ricompensa al valore conferitagli dopo la Liberazione.

La partita, a detta del sergente, avrebbe evitato altre morti, e a chi si fosse presentato per giocare sarebbe stata risparmiata la deportazione. Maurelli temeva una trappola letale, ma non ha potuto far altro che soddisfare la richiesta del sergente nazista. Tra partigiani e rifugiati si diffuse ben presto un passaparola nell’indecisione generale; il timore che la partita fosse solo un pretesto per catturarli era forte, ma alla fine decisero che nonostante i rischi era meglio giocarla per evitare guai peggiori, anche perché l’arbitro, a garanzia, aveva promesso di schierare il fratello Mimmo nella squadra italiana.

Quella domenica di primavera gli undici fuggiaschi scendono correndo giù dalla montagna, e senza fermarsi imboccano la porticina del campo di calcio. L’inizio della partita è confuso, i tedeschi non avevano mai giocato insieme e non riescono ad arrivare in porta; i sarnanesi invece sono rocciosi, a dir la verità fin troppo, tanto che la strategia del far passare i novanta minuti senza troppe complicazioni rischia di saltare già al 10′, quando Grattini non resiste alla tentazione di spedire in rete un invitante cross del terzino Lucarelli. A bordo campo non esulta quasi nessuno, vige il terrore. Nell’intervallo si mette a punto una nuova strategia: «qui bisogna farli pareggiare, altrimenti rischiamo grosso». Pronti via e Mimmo Maurelli commette un fallo su Kobler, questo reagisce e l’arbitro espelle entrambi (Kobler peraltro morirà qualche tempo dopo in un’imboscata).

Il tempo scorre, gli italiani si accorgono che mancano solo cinque minuti al termine e bisogna far pareggiare i tedeschi. Ci pensa Libero Lucarini: «un tedesco viene verso di me, io faccio finta di scivolare e lo lascio solo davanti al portiere, così pareggia». È 1-1, per tutti un grande sospiro di sollievo ma no, all’ultimo minuto i sarnanesi avviano un pericolosissimo contropiede: però, prima che vada in porto l’ultimo passaggio, Mario Maurelli decide saggiamente di fischiare tre volte. Gli undici partigiani finiscono la partita come l’avevano iniziata: correndo. Senza guardarsi alle spalle escono dalla stessa porticina da cui erano entrati e si arrampicano di nuovo sulle montagne dopo essersi giocati sul campo, se non la vita, almeno un bel pezzo di libertà.

La vittoria, quella vera, quella che conta, quella che poco ha a che fare con lo sport, però, è stata solo rimandata.

daniele