Majed Mohammed

Majed Mohammed

Negli Stati Uniti a giugno fa così caldo ed è così umido che i giocatori dell’Arabia Saudita si sentono a loro agio, molto più dei colleghi delle altre squadre. Poi nella rosa dei ventidue che agli ordini dell’argentino Jorge Solari sbarcano in terra americana c’è anche il Pelé del deserto, al secolo Majed Ahmed Abdullah Al-Mohammed, l’attaccante ormai trentaquattrenne che ha guidato l’Arabia Saudita alle vittorie in Coppa d’Asia nel 1984 e nel 1988 e alla storica qualificazione ai campionati del mondo. Tutte le premesse per far bene ci sono. Infatti, all’esordio l’impresa al cospetto dell’Olanda svanisce per un soffio: sauditi in vantaggio con un colpo di testa di Amin, raddoppio sfiorato proprio dal Pelé arabo, pareggio di Jonk con un gran tiro da fuori e, quando tutto sembra ormai incanalato verso il pareggio, un errore di Al-Deayea spiana la strada all’appena entrato Taument.

La vittoria non tarda ad arrivare nel secondo match contro il Marocco, ma è il centrocampista tuttofare Amin con un velenoso tiro dalla distanza (e non Majed) a regalarla. Per l’ultimo match si attende il Belgio già qualificato. La partita è in programma il 29 giugno al Robert F. Kennedy Memorial Stadium di Washington, alle 12 e 30 ore locali sotto un caldo asfissiante (43 gradi!). Un pareggio promuoverebbe gli esordienti arabi agli ottavi e sarebbe già un risultato insperato. Ma evidentemente la convinzione nei propri mezzi fa così brutti scherzi che la nazionale in bianco e verde quella partita addirittura la va a vincere. E in che modo!

Quinto minuto e Diego Armando Maradona prende le sembianze di Saeed Al-Owairan che, ricevuta palla appena prima della metà campo, parte in velocità, dribbla quattro avversari e batte Preud’homme in uscita con un colpo sotto. Sembra il replay del leggendario gol del Pibe de Oro all’Inghilterra. Tutti contenti, tranne forse Majed, costretto alla panchina per problemi fisici e, come il vero Pelé, spodestato nel cuore della gente dall’apparizione di un Maradona anche nel deserto.

L’avventura araba a USA ’94 si conclude in pratica quel giorno. La Svezia di Thomas Ravelli, Thern e Schwarz, Brolin, Dahlin e Kenneth Andersson vince 3-1 in scioltezza il match degli ottavi, approfittando anche dell’appagamento dei sauditi.
Al ritorno in patria Owairan viene acclamato come eroe e ricoperto di soldi e contratti pubblicitari, imitando del vero Diego solo la parabola discendente. Finisce anche in carcere, ma viene amnistiato per partecipare alla fase finale del Mondiale successivo. In Francia nel 1998 sono tanti i reduci della spedizione americana, ma l’assenza del caldo torrido mette in luce la scarsa propensione alla corsa dei sauditi. La differenza tecnica fa il resto e così la Danimarca vince 1-0, la Francia (pur se in dieci per l’espulsione di Zidane) passeggia 4-0 e l’unico punto arriva dal pareggio 2-2 col Sud Africa. Un record, comunque, se lo porta a casa la S.A.F.F. (la federazione araba), capace di esonerare Carlos Parreira dopo le prime due partite e di affidare al secondo Al-Kharashy la panchina in occasione dell’ultimo match. Nessuno, però, conferirà al presidente della S.A.F.F. il titolo di Zamparini del deserto.

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