Il Calcio alle Olimpiadi. 14° puntata: 1936, il quarto di finale Perù-Austria

Adolf Hitler che non vuole stringere la mano al velocista americano Jesse Owens perché visibilmente non ariano, questa la prima storia che viene alla mente quando si nomina l’Olimpiade di Berlino 1936. Anche se lo stesso Owens polemicamente dichiarerà che a ignorarlo fu più il “suo” presidente Roosevelt che il segretario del partito nazista. E anche se, fatti alla mano, il primo discriminato, ossia il primo vincitore a non ricevere pubbliche congratulazioni da Hitler, fu l’altrettanto coloured Cornelius Johnson, laureatosi campione olimpico di salto in alto un giorno prima che Owens ottenesse la vittoria nei 100 metri.[1]
Distinguo a parte, non c’è nessun dubbio sul fatto che ogni successo riportato da atleti non bianchi desse fastidio al Führer, il cui obiettivo principale era mostrare, attraverso i Giochi, la superiorità fisica (e non solo la migliore capacità organizzativa) dei “popoli ariani”.
Sarà anche per questo che la lunga mano del dittatore tedesco conferisce enfasi a una delle più autorevoli narrazioni tramandate ai posteri di quanto accadde sul campo dell’Hertha Berlino l’8 agosto 1936 nel match di calcio tra Perù e Austria.

Stiamo parlando di quella che ha fornito Eduardo Galeano nel 2008 in un programma della TV uruguaiana. Lo scrittore di Montevideo racconta come quel giorno il Führer sedesse sul palco e riponesse tutte le sue speranze di vittoria nel seguitissimo torneo di football nella Nazionale della nativa Austria, stante l’eliminazione della Germania ad opera della Norvegia. Una storia fatta di arbitri compiacenti, di dittatori che si arrabbiano, di abusi da parte della FIFA e degli austriaci. Una storia fatta anche di dignità, quella dei peruviani che dopo aver umiliato gli avversari, Hitler e indirettamente la razza ariana sul campo, se ne vanno nel momento in cui viene annullata la loro vittoria e ufficializzata la ripetizione il match. Insomma, una riproposizione della dicotomia tra il mito e il male, ma in tono minore perché, a detta di Galeano, i peruviani non vollero alimentare la fiamma di quanto accaduto e costruirci sopra un mito.
Ma se di narrazione abbiamo parlato, un motivo ci sarà e, come fatto già altre volte, attingiamo qua e là da ricerche e considerazioni altrui per andare a scovare altre narrazioni o, se preferite, narrazioni altre.

Perù e Austria incrociarono i loro destini olimpici a livello dei quarti di finale, secondo turno della competizione. Gli andini erano arrivati terzi (su quattro partecipanti) alla Copa América dell’anno prima, avevano una nazionale in ascesa e di lì a qualche anno avrebbero riportato la prima vittoria della loro storia nel Sudamericano, grazie anche al duo d’attacco Lolo Fernandez-Jorge Alcalde. Il forfait di Argentina e Uruguay aveva promosso i peruviani unici rappresentanti della CONMEBOL alle Olimpiadi, cosa che aveva responsabilizzato e allo stesso tempo eccitato tutto l’ambiente: il calcio sudamericano, infatti, si era dimostrato più forte della concorrenza le ultime due volte che il calcio era stato incluso nel programma olimpico. Il 7-3 con cui il Perù batté la Finlandia al primo turno alimentò ancor di più le speranze di poter ben figurare.
L’Austria, invece, non era il Wunderteam che aveva raggiunto le semifinali al Mondiale di due anni prima, Meisl era affiancato dallo scozzese Hogan e, per uniformarsi a quanto deciso dal CIO in merito ai calciatori utilizzabili nel torneo olimpico, aveva portato a Berlino solo atleti senza precedenti esperienze in Nazionale. Agli ottavi la compagine mitteleuropea aveva avuto la meglio sull’Egitto per 3-1.

Nel match dell’8 agosto 1936 gli austriaci iniziarono forte, andarono avanti di due gol, ressero fino al minuto 75, poi Jorge Alcalde e Alejandro Villanueva riportarono i peruviani in parità. Al 90′ il risultato era ancora sul 2-2 e si resero pertanto necessari i supplementari. “Quello che segue dipende dal continente in cui la storia sarà raccontata”, disse il giornalista statunitense David Wallechinsky nel suo The complete book of the Summer Olimpics Games. Che è un po’ quello che davvero sarebbe accaduto per circa settanta anni.

Il generale Oscar Benavides

Il generale Oscar Benavides

“Il più scandaloso incidente nella storia del calcio internazionale”, così esordisce l’articolo The crafty Berlin decision, ovvero La furbata di Berlino, riportato sul sito gottfriedfuchs.blogspot.it e datato marzo 2015. In esso si racconta che ai supplementari l’arbitro norvegese Kristensen annullò addirittura tre gol ai peruviani prima di “capitolare” al 117′ quando Villanueva segnò ancora. Lolo Fernandez siglò la quarta rete per i suoi al 120′, cui seguì un’invasione di campo da parte dei sostenitori sudamericani. Secondo gli austriaci un loro giocatore fu colpito in tale frangente e l’arbitro non fischiò la fine del match; da qui il reclamo a FIFA e CIO. Il colmo, continua l’articolo, è che tale reclamo venne discusso il giorno successivo, che la delegazione peruviana non riuscì a presenziarvi perché attardata da una adunata nazista e che in loro assenza i vertici ordinarono la ripetizione del match, da effettuare a porte chiuse il 10 agosto. Il comitato olimpico del Perù si sdegnò e, supportato da quello colombiano, decise di ritornare a casa, dove i giocatori vennero accolti con maggiori onori che se avessero vinto l’oro.
Fatale individuare in questa versione l’eco della narrazione tramandata per decenni in Perù e poi diffusasi grazie al web e alla riscoperta operata da Galeano nel 2008. Il titolo, del resto, fa riferimento al modo in cui il presidente peruviano Benavides bollò la decisione di far rigiocare l’incontro.

Affascinante, invece, quanto riportò il Daily Sketch poco dopo i fatti. L’invasione di campo, secondo il giornale londinese, fu attuata da mille peruviani armati di coltelli, e gli austriaci colpiti furono ben tre, tanto che la Nazionale europea fu costretta a giocare in otto la parte finale del match. L’insostenibilità della tesi dei mille tifosi in trasferta a Berlino nel 1936 spiega da sola perché questa versione, sostenuta nell’immediatezza degli avvenimenti, si perse col passare del tempo. Ma in realtà, a pensarci bene, in Europa nessuno aveva la necessità di costruire una narrazione epica dell’avvenimento, bastava la comunicazione ufficiale FIFA: alcuni fatti avevano impedito il regolare svolgimento dell’incontro, si era decisa la riproposizione del match, il Perù non si era presentato né il 10, né l’11 agosto e, così, gli austriaci erano stati dichiarati vincitori.
Nel paese andino, al contrario, il già incontrato generale Oscar Benavides aveva interesse a trarre benefici politici dalla buona riuscita della spedizione olimpica. Questo afferma lo storico David Clay Large in Nazi Games. Il militare peruviano, infatti, non era presidente a tutti gli effetti;[2] sperava, però, di veder ufficializzato il suo ruolo nelle elezioni previste per dicembre 1936 e la costruzione di un forte sentimento nazionale poteva giocare a suo vantaggio. Per questo motivo Benavides si congratulò con i suoi giocatori non appena saputo della vittoria sugli austriaci, che -a suo dire- avrebbe accresciuto il prestigio internazionale del Perù, e poi difese a spada tratta la teoria del complotto e della “furbata” berlinese. Fatto sta che a Lima, quando arrivò la notizia dell’annullamento del match, scoppiarono disordini e la folla prese d’assalto l’ambasciata tedesca. E fatto sta che Benavides fu davvero eletto presidente qualche mese più tardi.

Già… la dimensione politica. Un aspetto rilevante che, pur se sotto altre forme e per avvalorare qualcosa di completamente opposto, anche nella narrazione di Galeano è presente e ha il volto peggiore, quello di Hitler. Ma almeno in questo, affidandoci alla ricerca effettuata nel 2008 dal giornalista peruviano Luis Carlos Arias Schreiber, di una cosa possiamo essere sicuri: è ben difficile che tra gli appena cinquemila spettatori che assistettero a Perù-Austria sedesse il Führer. Nessuno dei pochi corrispondenti parla della sua presenza ne e, in un momento in cui ogni passo del capo fa notizia, questo equivale ad assenza quasi certa. Schreiber sostiene che qualcuno piazzò Hitler allo stadio per aumentare la leggenda, ma solo dopo il 1946, quando Hitler era già morto e stavano venendo alla luce le atrocità da lui commesse.
Non ci sentiamo, però, di condannare chi ha voluto far sedere il Führer postumo lì in tribuna. Senza la presenza della lunga mano di Hitler, una storia che parla di Berlino 1936 non ha senso raccontarla.

federico

Puntata precedente: Sparizione e ricomparsa del calcio alle Olimpiadi; Puntata successiva: Romani saluti olimpionici

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[1] cfr. Nicola Sbetti, Giochi di potere, pagg.98-99, per le dichiarazioni di Owens.
Hitler il primo giorno di gare di atletica si congratulò pubblicamente con i medagliati del getto del peso e dei 10000m, in tutto due tedeschi e quattro finlandesi, mentre non attese la fine della gara di salto in alto e, quindi, non strinse la mano né a Johnson, né all’altro americano Albritton, giunto secondo. Il CIO intimò al cancelliere tedesco di non fare distinzioni e così, dal giorno seguente, Hitler decise di congratularsi solo privatamente con i medagliati che più gli aggradavano. E chiaramente Owens e gli altri atleti di colore non furono mai tra questi

[2] Il Congresso Costituente designò Benavides presidente provvisorio nell’aprile del 1933, a seguito dell’assassinio del presidente costituzionale Cerro. Benavides ebbe l’incarico di portare a termine la legislatura fino alle nuove elezioni programmate per la fine del 1936