Trapattoneide – terza puntata

Da una parte c’è Pippo Marchioro, che con la zona, questo nuovo modo di difendere, ha portato in Serie A il Como e in Coppa UEFA il Cesena. Dall’altra c’è Giovanni Trapattoni, che è al Milan da quando aveva diciotto anni, che da protagonista ha vinto due scudetti e una Coppa Italia, che era titolare quando i rossoneri hanno alzato la Coppa Campioni a Wembley nel 1963 e a Madrid nel 1969, che nel 1968 ha servito l’assist ad Hamrin per il primo gol nella finale di Coppa delle Coppe contro l’Amburgo e che, sotto l’ala protettiva di Nereo Rocco, nel 1972 ha fatto il salto ed è passato dall’altra parte. E la strana stagione 1975/76 se l’è fatta da allenatore in prima, riuscendo a portare i diavoli al terzo posto.
Tutto questo, però, non è bastato per la dirigenza del club, che, dopo una sorta di faida interna guidata da Gianni Rivera, ha virato sul nuovo e scelto Marchioro. Putroppo per quest’ultimo, più che un’anteprima di quanto farà vedere l’accoppiata Sacchi-Milan, la sua permanenza sulla panchina rossonera offre qualcosa di simile a quanto accadrà alla Juventus con Gigi Maifredi nel 1990/91. Con l’aggiunta dell’abiura e del ritorno alla marcatura a uomo, che non evita l’esonero a inizio febbraio 1977. Il Milan torna nelle mani di Rocco, che vince la Coppa Italia, ma in campionato non riesce ad andare al di là di una sofferta salvezza.
«I tempi non erano ancora maturi», dirà più in là lo stesso Marchioro. Più realisticamente, considerarsi dei precursori e provare a cambiare tutto in un sol colpo non è una cosa semplice e difficilmente funziona se, come nel caso del Milan di quella stagione, i giocatori non sono quelli adatti.

E il Trap? Liberato (o scaricato?) dai rossoneri, il giovane allenatore viene avvicinato da Giampiero Boniperti, che lo fa sedere in panchina al posto di Carlo Parola. L’inizio è a dir poco travolgente: sette vittorie consecutive tra cui un 2-3 in rimonta in casa del Milan di Marchioro alla quinta giornata. È l’inizio di un lungo duello con il Torino campione in carica. I granata toccano l’impensabile soglia dei 50 punti, la Juventus ne fa uno in più e, pur non avendo battuto i rivali nei due derby di campionato, vince lo scudetto.
Parlare di “sliding doors” sarebbe troppo facile, perché il buon Pippo avrà come miglior periodo quello con la Reggiana, portata dalla C1 alla A e a una storica salvezza, agevolata – neanche a farlo apposta – dal Milan, mentre Trapattoni coglierà da allenatore ancor più successi di quelli ottenuti da calciatore. Più interessante è chiedersi quanto è lecito etichettare come “nuovo” o “vecchio” quanto, rispettivamente, Pippo e il Trap propongono in campo in quel 1977.
Ad esempio, in merito alla reale aderenza alla zona da parte del gioco di Marchioro, scriverà Carlo Chiesa una ventina di anni dopo su Calcio 2000:

La sua caratteristica? Un gioco spettacolare, grazie a un calcio di grande movimento, basato sul collettivo e per questo, immancabilmente, ribattezzato “all’olandese”. Difficile tuttavia riscontrare nel Cesena di Marchioro […] i canoni della zona pura.

Quindi, non il cosiddetto calcio totale, che, con le sue marcature a zona, i difensori che impostano e i giocatori che si interscambiano i ruoli, rappresenta a metà anni Settanta il non plus-ultra della novità.
Di contro, quanto predica il 38enne Trapattoni è tutt’altro che vecchio, se confrontato con cosa offre il gioco all’italiana nella Serie A del tempo: accanto alla necessità di una difesa granitica, alla predilezione per fare un gioco pratico e senza fronzoli e all’idea che in trasferta si può stare più arroccati, anche l’ex mediano punta, infatti, su un gioco più collettivo, grintoso e soprattutto chiede ai suoi di correre tanto. Poi, è chiaro che a fare del Trap un vero fuoriclasse della panchina contribuiranno molto di più il suo modo di porsi, i suoi fischi e le sue intuizioni, tipo prendere il terzino Marco Tardelli e farlo diventare centrocampista.

Foto in evidenza: da Gazzetta dello Sport, 8/11/1976

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