Trapattoneide – ottava puntata

Non sono molti i tecnici che possono vantare nel loro palmares uno o più titoli conquistati in almeno quattro nazioni diverse. C’è José Mourinho, che ha vinto in Portogallo, Inghilterra, Italia e Spagna. C’è Carlo Ancelotti, che, dopo lo scudetto 2003/04 e due Champions League con il Milan, ha portato al successo Chelsea, Paris Saint-Germain, Bayern Monaco nei rispettivi campionati nazionali e ri-vinto la più importante manifestazione europea per club alla guida del Real Madrid. C’è anche Tomislav Ivić, tecnico giramondo che contribuì alla salvezza dell’Avellino nel 1985/86, dopo aver conquistato tre titoli jugoslavi con l’Hajduk Spalato, una Eredivisie con l’Ajax e un campionato belga con l’Anderlecht e prima di completare l’opera con la Primeira Liga 1987/88 sulla panchina del Porto, la Copa del Rey 1990/91 con l’Atletico Madrid e la coppa nazionale araba con l’Al-Ittihad.
Di questa ristretta cerchia di allenatori fa parte anche Giovanni Trapattoni, che se magari non possiamo considerare alla stregua di un Ivić, quanto a diversità e particolarità delle sfide calcistiche affrontate, non si è certo limitato a passare da un super-club a un altro per cui il vincere in patria era solo un optional e il vero traguardo da raggiungere era la Champions League.

A “migrare”, anzi a fare il pendolare il Trap iniziò quasi per caso, nella seconda metà degli anni Novanta: Bayern Monaco-Cagliari-Bayern Monaco-Fiorentina. Arrivò poi la chiamata della FIGC, per sostituire il dimissionario Zoff sulla panchina della Nazionale italiana, ma il quadriennio 2000-2004, invece di rappresentare il coronamento di una carriera eccezionale, portò solo delusioni e polemiche. E sancì la definitiva svolta verso l’estero, perché di pensione, nonostante i 65 anni, neanche a parlarne, specie dopo un’esperienza così negativa.
Intanto, la seconda esperienza a Monaco di Baviera aveva consentito al tecnico milanese l’apertura di una nuova sezione della sua bacheca personale, grazie alla conquista di Bundesliga e Coppa di Lega nella stagione 1996/97 e della DFB-Pokal l’annata successiva. Sezione che venne ben presto rimpinguata a seguito del successo nella Primeira Liga 2004/05 alla guida del Benfica. I rossi ebbero la certezza di vincere quel titolo, che sfuggiva loro dal 1994, al termine di un derby al da Luz con lo Sporting Lisbona, sconfitti da un golletto di Luisão all’83’ (di testa su punizione dalla sinistra e liscio del portiere Ricardo) e staccati così in classifica. Una vittoria “alla Trapattoni”, come tante in quella stagione, che procurarono al tecnico le solite accuse di difensivismo e lo convinsero a rescindere il contratto e cambiare aria a fine stagione.

Il Trap virò così verso i paesi di lingua tedesca. Andò male a Stoccarda, meglio a Salisburgo. Alla corte di Mateschitz e della Red Bull il Trap arrivò nel 2006/07 e stravinse il titolo con cinque giornate d’anticipo, il primo per il club salisburghese da quando nel 2005 aveva cambiato proprietà, nome e persino colori sociali. C’era la possibilità del bis la stagione successiva, ma lo 0-7 rimediato nel big match pasquale contro il Rapid Vienna sancì il sorpasso dei biancoverdi in testa alla classifica e fece calare un velo di tristezza sull’ultima esperienza del Trap sulla panchina di un club. «Non mi era mai capitato in 50 anni di calcio», «Questa non è stata la solita sconfitta, ho visto una catastrofe» dichiarò quel 23 marzo del 2008, lasciando intendere che aveva visto qualcosa di poco chiaro nella condotta avuta dai suoi in campo[1].

Anche l’ultimo capitolo del Trapattoni allenatore riservò un momento di grande gioia e uno di profonda rabbia. Per fortuna in ordine cronologico inverso. Chiamato dalla federazione irlandese per guidare la Nazionale nelle Qualificazioni Mondiali del 2010, riuscì a raggiungere gli spareggi, grazie al secondo posto nel gruppo dell’Italia (tra l’altro, ottenendo due pareggi contro gli azzurri). L’urna riservò l’avversaria più ostica, la Francia. Sconfitta 0-1 a Dublino nel match d’andata, l’Irlanda giocò una gran partita allo Stade de France, segnò con Keane e portò i transalpini ai supplementari. Poi un gol di Gallas su azione viziata da un evidente fallo di mano di Henry ignorato dall’arbitro Hansson spedì la Francia in Sud Africa e gli irlandesi a casa.
Due anni dopo le cose andarono meglio, anche sul piano della sorte: di nuovo gli spareggi per staccare il biglietto per l’Europeo 2012, ma stavolta un avversario alla portata, l’Estonia, e qualificazione messa in cascina con lo 0-4 di Tallinn.
Così, a 73 anni suonati, il buon Giovanni poté togliersi la soddisfazione di partecipare a un altro Europeo, a otto anni dal precedente. E cosa importa se poi nella fase finale contro Croazia, Spagna e Italia le cose non sarebbero andate un granché.

Trapattoneide – puntate precedenti:
5 settembre 1960: La sconfitta dal fondo del cappello
12 maggio 1963: Italia batte Pelé
Pippo e il Trap
La Juventus europea del Trap
26 ottobre 1986: Un atteso sbaglio di panchina
Gli ultimi successi italiani del “Vangelo di Giovanni”
Strunz è chi non lo capisce

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[1] Nel 2013 Trapattoni dichiarò: «Qualcuno scrisse che i giocatori forse avevano venduto la partita. Presero 3 gol in 5 minuti: o erano idioti o drogati o avevano venduto la partita… ma non c’erano le prove»