Il primo dato che balza agli occhi è che per la prima volta dal 2013 ad alzare la coppa dalle grandi orecchie non sarà una squadra spagnola o, se preferite il catalinically correct, una compagine proveniente dalla Liga. Questo proprio quando l’atto conclusivo è stato programmato nel paese iberico, ovvero nella nuova casa dell’Atletico Madrid, il Wanda Metropolitano. Anche il 22 maggio 2010, al Bernabeu, non c’erano club del campionato spagnolo e, per ritrovarne uno in gara in una finale giocata in territorio iberico bisogna tornare al 1986 e al Barcellona che al Sanchez Pizjuan di Siviglia perse inaspettatamente ai rigori contro la Steaua Bucarest e Duckadam.
Il secondo dato è che per la seconda volta saranno due squadre inglesi ad animare l’ultima recita di una Champions League, Tottenham Hotspur e Liverpool, undici anni dopo Manchester United e Chelsea. In questa speciale classifica comanda ovviamente la Liga, con tre finali monopolizzate, due additittura da squadre della stessa città.
Terza, ma non ultima osservazione, che, prese singolarmente, due rimonte così in semifinale di una Coppa Campioni/Champions League non si vedevano da tempo. Si deve scomodare nuovamente l’edizione 1985/86 per trovare una sconfitta esterna per 3-0 ribaltata, quando proprio il Barcellona restituì all’IFK Göteborg il 3-0 dell’andata e poi passò ai rigori, e il 1995/96 per una rimonta in campo avverso e anche in questo caso a riuscirci fu la squadra che quest’anno l’ha subita: l’Ajax vinse 0-3 ad Atene dopo aver perso di misura in casa col Panathinaikos. Se, invece, vogliamo sapere quale è stata l’ultima volta che le due squadre uscite sconfitte dall’andata si sono poi qualificate per la finale, basta fermarsi al 2007. L’evento è decisamente più frequente, ma visto che, insieme al Milan, a compiere la rimonta in quell’occasione fu il Liverpool, ecco un ponte per tornare all’attualità e a una seppur breve, nonché personale, analisi delle due partite di semifinale andate in scena in questo 2019.

Partiamo da Anfield Road e dal 4-0 con cui i reds hanno dissolto il Barcellona. Potrà sembrare una osservazione fatta comodamente ex post, ma quest’anno ai blaugrana io non davo troppa fiducia. Un cammino molto meno difficile di quello delle sue concorrenti nei primi due turni della fase a eliminazione diretta -Olympique Lione e Manchester United- e una larga vittoria in un match, quello del Camp Nou, in cui il Barcellona era stato messo sotto da un Liverpool in formazione rimaneggiata soprattutto nel reparto offensivo, avevano fatto credere che il terzo triplete in dieci anni era dietro l’angolo. La realtà è che i blaugrana, vuoi per l’età che avanza dei vari Rakitić, Busquets, Jordi Alba, Piqué o dello stesso Messi, vuoi perché di Iniesta ce n’è uno solo, non ha più la velocità di esecuzione di un tempo, la reattività e la capacità di uscire palla al piede dal pressing quando di fronte ha chi corre tanto di più (suggerimento: tale velocità non confrontatela con quella delle squadre italiane, Atalanta esclusa). E allora Valverde avrebbe forse fatto meglio a ripartire con la formazione senza Coutinho che nel finale del match di andata aveva portato il Barcellona a dilatare il proprio vantaggio, invece di far finta che nei primi 70 minuti di sofferenza al Camp Nou non fosse successo niente. Certo, se Messi o Jordi Alba avessero sfruttato una delle occasioni avute nel primo tempo, staremmo a sentir parlare di un Barcellona stratosferico e staremmo a pensare che il pallone è cattivo. Perché, lo dico chiaramente, questo Liverpool è più forte e più bello della squadra blaugrana, anche senza gente di un certo peso come Firmino, Salah, Keita e Robertson. Far seguire elogi per Klopp e per i singoli è inutile: chi ha visto la partita e gli interi 180 minuti non ne ha bisogno, chi non l’ha vista ha perso qualcosa che quattro brevi parole non possono far recuperare.

Chi poi non ha visto neanche i 180 minuti della sfida tra Ajax e Tottenham, sappia che non potrà consolarsi assistendo alla volata per il terzo e quarto posto in Serie A. Partita pazza, quella della Johann Cruijff Arena, con Lucas Moura che fa tre gol in un tempo e ribalta un risultato che con i gol di Van de Beek all’andata, De Ligt e Ziyech al ritorno sembrava deciso. Di Cristiano Ronaldo contro l’Atletico Madrid due anni fa la precedente tripletta in semifinale.
Il nostro pensiero va, però, a Fernando Llorente: decisivo nei quarti con il suo gol di gomito-aderente-all’anca al City che il VAR ha giudicato comunque regolare (sempre sia lodato…), impossibilitato a incidere nel match di White Hart Lane perché Pochettino aveva deciso di difendere a tre e, quindi, aveva concesso troppo campo all’Ajax, è entrato nella ripresa e ha messo da solo in difficoltà i centrali olandesi, aprendo spazi per i suoi compagni, Alli e Moura in testa. Per Fernando sarà la seconda finale di Champions League, nella prima, quattro anni fa, entrò solo negli ultimi minuti e vide la sua Juventus già sotto 2-1 prendere il terzo gol. Anche stavolta, specie se Harry Kane recupera, per lui ci sarà poco spazio, ma in fondo cosa importa.

Chiudiamo con il plauso doveroso a quella banda di ragazzini che ha fatto fuori il Real Madrid tricampione in carica umiliandolo al Bernabeu e ha poi surclassato la Juventus a domicilio: per i vari De Jong, De Ligt, Ziyech, Van de Beek e Neres (la cui assenza nel match di ritorno è stata più che decisiva) si apriranno le porte dei migliori e più facoltosi club d’Europa, per l’Ajax arriverà il momento di fare cassa e ripartire da zero e per di più dai preliminari come successo anche quest’anno. E allora siamo proprio sicuri che una Champions League che non premi con la qualificazione automatica ai gironi dell’edizione successiva quelle che passano la fase a gironi sia meno “democratica” di una che prevede un posto di rilievo per la quarta della Serie A, a prescindere, e sorteggia i gironi in base alla posizione raggiunta in campionato? Tanto per gradire, ricordiamo che la Lokomotiv Mosca quest’anno era testa di serie, mentre il Liverpool era in terza fascia…

federico