vedere il blocco sovietico muoversi compatto […] era uno spettacolo impressionante,
anche se mio padre condivideva poco del mio entusiasmo e continuava a fumare […],
muovendo silenziosamente le labbra al ritmo di Santa Maria, ora pro nobis
Carlo Miccio, La trappola del fuorigioco

A Lione, nella finale della Coppa delle Coppe del 1986, la Dinamo Kiev demolisce sul piano del gioco e travolge su quello del punteggio l’Atletico Madrid, che godeva dei favori del pronostico. Sovrapposizioni, scambi di ruolo, tocchi veloci e ravvicinati, sgroppate sulla fascia, lanci a memoria, palla che corre e giocatori che corrono ancor di più. In tutto questo tourbillon organizzato, quasi scientifico, la mano dell’allenatore Valerij Lobanovskij è evidente. Il colonnello, soprannome dovuto al grado raggiunto nell’Armata Rossa, ma decisamente adatto alla sua impassibilità in panchina, ha già un palmares di tutto rilievo: alla guida dei biancoblù ucraini ha conquistato sei campionati sovietici, quattro coppe dell’URSS, la Coppa delle Coppe del 1975 e la Supercoppa Europea del 1976. Proprio in virtù dei successi ottenuti la Federazione sovietica gli aveva affidato già due volte la guida della Nazionale, ma senza grandi risultati.[1] La terza volta andrà meglio, pensano a Mosca. Così, una decina di giorni dopo la vittoria in coppa e una quindicina prima dell’esordio mondiale, Lobanovskij si ritrova ct dell’Unione Sovietica al posto di Malafeev e, ovviamente, trapianta in blocco la sua Dinamo Kiev in Nazionale.[2]

Che la Federazione stavolta ci abbia visto giusto appare chiaro sin da subito. L’Ungheria di Lajos Detari, che si era presa il lusso di battere 3-0 il Brasile in amichevole a Budapest solo alcuni mesi prima, viene distrutta. La cosa più impressionante è che al terzo minuto il risultato è già 2-0 grazie a un gol sotto misura di Jakovenko e a una staffilata dalla distanza del futuro giocatore di Juventus e Lecce Sergej Alejnikov. Un rigore realizzato da Belanov sempre nel primo tempo e tre discese nelle praterie messe a disposizione dai magiari fissano il risultato sul 6-0: segnano Jaremčuk, Dajka nella propria porta e Rodionov.
Nel secondo match la squadra sovietica si gioca il primo posto del girone contro la Francia: vista la differenza reti e visto che il terzo incontro la vedrà opposta al Canada, un pareggio basta. Col senno di poi, sarebbe forse stato meglio arrivare secondi e incontrare l’Italia…
Ad ogni modo, Vassilij Rats, uomo simbolo del calcio modello Lobanovskij per duttilità, diligenza tattica, corsa e perché fuori dalle squadre del colonnello non renderà mai bene, fulmina a inizio ripresa il portiere francese Bats con un poderoso sinistro da fuori area. Fernandez con un bell’inserimento centrale pareggia poco dopo e il risultato non cambia più.
Contro il Canada l’URSS fa un po’ di turn over. I due gol che valgono la vittoria arrivano nel secondo tempo e sembrano suggerire una sorta di passaggio di consegne tra l’eterno Oleg Blokhin, attaccante della Dinamo Kiev già al tempo delle prime vittorie europee, Pallone d’Oro nel 1976,  escluso a sorpresa dalla formazione tipo a vantaggio del più in forma Belanov, e il tre quartista Aleksandr Zavarov, il giocatore più promettente dell’intero lotto anche per via della giovane età.

Si arriva così alla seconda fase. Ai Mondiali spagnoli del 1982, i primi a 24 squadre, le dodici compagini che avevano passato il primo turno erano state divise in quattro gironi da tre: morale, qualche Nazionale aveva dovuto salutare la manifestazione pur non perdendo negli scontri diretti. Tra queste l’URSS, eliminata da una vittoria troppo risicata contro il Belgio.[3] Per ovviare a questo inconveniente la FIFA ha deciso di cambiare format e di fare una seconda parte interamente a eliminazione diretta, a costo di ripescare anche quattro delle migliori terze dai gironi e di portare a sedici il numero delle squadre che passano il primo turno, in pratica il 66,7% delle iscritte. All’URSS è destinata una delle ripescate e la sorte vuole che sia proprio quel Belgio che quattro anni prima aveva contribuito indirettamente alla sua eliminazione.
I diavoli rossi sono stati sconfitti dal Messico nel match inaugurale, hanno vinto di misura con l’Iraq e ha pareggiato 2-2 col Paraguay. Coriacei, scorbutici, ancora allenati da quel Guy Thys che li aveva portati a sfiorare la vittoria agli Europei nel 1980, ma insomma decisamente inferiori alla Nazionale sovietica.
La partita si gioca a Léon, alle 16 ora locale. Arbitro è lo svedese Fredriksson, uno dei più accreditati della UEFA, noto agli italiani per aver convalidato un gol dubbio al Liverpool nella finale di Coppa Campioni contro la Roma due anni prima. Come vedremo, anche questa direzione di gara non deporrà a favore del fischietto scandinavo…

La prima parte del match non riserva sorprese. L’URSS preme sin da subito e passa intorno alla mezzora con un gran tiro da fuori di Igor Belanov. Il Belgio non sta adottando la tattica del fuorigioco, gioca in pratica con un libero, Demol, dietro la linea dei quattro difensori che marcano a zona e, grazie a questo accorgimento e al caldo asfissiante, i sovietici non arrivano al tiro così tanto spesso come si sarebbe aspettato.
A inizio ripresa l’URSS riparte forte, colpisce un palo con il solito Belanov, Vervoort salva sulla linea, poi a sorpresa è Vincenzino Scifo, su lancio di Vercauteren, a segnare. Qualche dubbio sulla punizione, ma il replay non chiarisce.
La partita, dal punto di vista della spettacolarità, decolla. La squadra con la scritta CCCP non ci sta e al 70′ passa di nuovo: pressing alto su Ceulemans, palla a Zavarov che attira su di sé due avversari e poi serve Belanov. Diagonale e Jean-Marie Pfaff è di nuovo battuto. Rats in contropiede sfiora il 3-1, poi arriva il fattaccio. Un lungo lancio di Demol trova Jan Ceulemans solo oltre la linea difensiva sovietica, stop dell’attaccante del Bruges, tiro e gol. Il problema è che il guardalinee Sanchez Arminio ha alzato la bandierina, alcuni difensori lo hanno visto e hanno mollato la presa. L’arbitro, però, ignora la segnalazione e convalida.[4] I sovietici sono abituati ai torti mondiali. Ne hanno subiti un paio dal Brasile nel 1982, ne subiranno un altro sempre ad opera di Fredriksson in Argentina-URSS nel 1990 (salvataggio di mano di Maradona sulla linea non “visto”). E allora si rigettano in attacco e vanno vicini al nuovo vantaggio, ma il sinistro di Jaremčuk si stampa sulla traversa.
Quando comincia l’extratime l’inerzia del match è ormai cambiata. Meno stanchi e più convinti degli avversari, i diavoli rossi segnano con Demol di testa su azione d’angolo al 102′ e con Claesen nel secondo tempo supplementare. Il rigore, per la verità generoso, che permette a Belanov di segnare il suo terzo gol personale, serve solo a far finire la partita 3-4, come quella famosa Italia-Germania Ovest.

Il Mondiale dell’URSS finisce qua. Inutile sottolineare che, se fosse stato concepito altrove, il progetto di calcio del collonnello Lobanovskij avrebbe ricevuto molte più sviolinate, indipendentemente dai risultati raggiunti. In quell’estate del 1986 c’è, però, ancora la cortina di ferro e quella Nazionale tutto collettivo e poca individualità rispecchia così tanto l’idea naif del comunismo da non poter essere giudicata senza schemi pregressi da molta parte degli addetti ai lavori. Da qui il timore, se non addirittura la paura, nel momento in cui la squadra sovietica va forte, il tutto magari accompagnato da una serie di velate accuse di irregolarità vista la prestanza fisica e la resistenza dei giocatori; da qui il sollievo dopo la caduta, immediatamente seguito da un’opera di ridimensionamento, di rimozione. Perché «l’esperienza, quella vera, richiede un prezzo da pagare».[5] Perché la squadra di Lobanovskij è una incompiuta. Perché l’URSS è stata fatta fuori da un calo fisico, dagli allenamenti forzati, dalla difesa messa male e non da un “errore” arbitrale che ha regalato al Belgio il gol del pareggio.

federico

Nella foto: Alejnikov e Vercauteren
Per la sintesi del match URSS-Belgio cfr. qui

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[1] 19 match tra il 1975 e il 1976 con un’eliminazione ai quarti negli Europei e un terzo posto alle Olimpiadi; 10 partite tra il 1982 e il 1983 e il pass per la fase finale degli Europei francesi non ottenuto
[2] Otto i titolari in comune tra la prima URSS messicana e la Dinamo Kiev vincente contro l’Atletico Madrid: Bessonov, Kuznetsov, Demjanenko, Rats, Jaremčuk, Jakovenko, Zavarov, Belanov. Lobanovskij innesta nel suo meccanismo quasi perfetto solo Rinat Dasaev, portiere dello Spartak Mosca già protagonista ai Mondiali del 1982, Alejnikov, all’epoca alla Dinamo Minsk, e Nikolaj Larionov, difensore dello Zenit Leningrado
[3] La Polonia batte 3-0 i belgi nel primo match del gruppo 1 grazie a tre reti di Boniek. L’URSS batte il Belgio solo 1-0 e così lo 0-0 nella sfida tra polacchi e sovietici promuove i primi e manda a casa questi ultimi
[4] cfr. per esempio La Stampa del 17/06/1986
[5] dall’articolo de La Stampa del 17/06/1986, firmato da Carlo Coscia