Novantanove anni sono passati dal 2 luglio 1916, quando la Copa América aprì i suoi battenti facendo registrare una netta vittoria dell’Uruguay sul Cile. L’Uruguay vinse quella coppa, novantanove anni sono, invece, dovuti passare prima che fosse il turno della roja. Adesso la nazionale cilena ce l’ha fatta, è diventata l’ottava a riuscire nell’impresa e, come il Perù nel 1939, la Bolivia nel 1963 e la Colombia nel 2001, ha sfruttato l’occasione di giocare in casa per iscrivere il suo nome per la prima volta nell’albo d’oro.
cile santiagoUna squadra a livello continentale forte come non mai dai tempi di Caszely, quella cilena, ma con la giusta mentalità (e qui il merito è di Sampaoli). Ne è indice il girone di qualificazione, condotto senza distrazioni e neanche troppo turbato dall’incidente di Vidal, che, dopo aver trascinato i suoi nei primi due match, ha pensato di distruggere la sua Ferrari guidando in stato di ebbrezza, mettendo così a rischio la vita della sua compagna, la sua e la partecipazione al resto della coppa (viste le restrittive leggi cilene in materia). Poi sono arrivate due partite difficili, contro Uruguay ai quarti e Perù in semifinale: le affrettate e ingiuste espulsioni di Cavani e Zambrano hanno agevolato i padroni di casa, ma le grandi prestazioni di Isla, Valdivia e Edu Vargas hanno permesso ai cileni di avanzare senza passare dai sempre rischiosi rigori. In uno Stadio Nacional completamente rosso, per il Cile è così arrivato il turno della finale.

Alexis SanchezContro l’Argentina è finita ai rigori, dopo lo 0-0 registrato in 120 minuti di gioco. Una sorta di maledizione, l’assenza di gol che attanaglia quest’anno le finali di manifestazioni riservate alle nazionali e seguite da chi scrive: dopo Costa d’Avorio-Ghana in Coppa d’Africa e Portogallo-Svezia nell’Europeo Under 21, siamo a tre finali consecutive senza reti. A parte il dato statistico molto soggettivo, c’è da dire che Cile e Argentina hanno offerto un bello spettacolo almeno nei primi 60 minuti, non risparmiandosi, cercando il gol più che di contenere il risultato, e i due portieri (Claudio Bravo e Romero) si sono ben disimpegnati sui tentativi di Agüero, Lavezzi e Vidal. Niente a che vedere con la terribile semifinale degli scorsi Mondiali tra l’albiceleste e l’Olanda, insomma. Poi la stanchezza e la durata interminabile dell’anno calcistico hanno prevalso e hanno consentito solo sporadicamente a una delle due squadre di rendersi pericolosa. Più il Cile, con un Alexis Sanchez finalmente all’altezza, che l’Argentina, che alla lunga ha sofferto l’infortunio di Di Maria a metà primo tempo. Questo -secondo la filosofia sacchiana- spiega perché ai rigori hanno vinto i padroni di casa, nettamente: Mati Fernandez, Vidal, Aranguiz e Sanchez non sbagliano, anche se il niño maravilla ci prova, ciabattando un tentativo di cucchiaio; Claudio Bravo, invece, prende gol solo da Messi, vede il tiro di Higuain finire altissimo e respinge il rigore di Banega.

Il portiere cileno permette al Barcellona di poter comunque idealmente salire sul gradino più alto, ma chiaramente tutti i catalani si aspettavano il Messi finalmente decisivo in una finale giocata con la maglietta biancoceleste, attesa vana, nonostante lo show in semifinale nel 6-1 al Paraguay e il fine stagione impressionante in maglia blaugrana. Limitiamoci a osservare che la gabbia Diaz-Medel e a volte Vidal, per lui prevista da Sampaoli (e quella per i suoi parenti adottata dai tifosi sugli spalti), ha funzionato, anche se il fatto che Diaz e Medel siano stati ammoniti nel primo tempo per falli su Messi e non abbiano rischiato mai l’espulsione nella parte restante del match è un dato indicativo.
Cile e Argentina a parte, c’è da fare i complimenti al Perù, che ha confermato il terzo posto conquistato nel 2011 e ha messo in mostra un grande Guerrero e un gioco veloce e spettacolare, e a Neymar, che colpendo volutamente con una pallonata Armero a partita contro la Colombia conclusa è riuscito a rimediare quattro turni di squalifica e a sparire prima del tempo. Il Brasile lo ha seguito poco dopo, mostrando che la squadra uscita distrutta dai Mondiali non è facile da tirar su.
Per tutti l’appuntamento è per l’anno prossimo, quando l’America tutta celebrerà un’edizione particolare, la Copa América del Centenario.

federico