Trapattoni acqua santaDopo l’uscita dal Mondiale nippocoreano una scritta lasciata per terra da un tifoso visibilmente amareggiato e probabilmente molto giovane mi aveva colpito, perché condensava in due righe quello che non ero ancora riuscito ad esprimere. Diceva “18-6-2002: la morte del calcio” e il riferimento era all’ottavo di finale Corea del Sud-Italia, ma poteva facilmente adattarsi a Brasile-Turchia, Italia-Croazia, Brasile-Belgio e alla successiva Corea del Sud-Spagna, tutte partite in cui gli errori arbitrali erano così sistematicamente a vantaggio o svantaggio di una particolare squadra che non potevano essere considerati casuali. Anche perché in quel di Daejeon il buon Trapattoni non era stato esente dalla solita colpa di voler costruire sul gol di Vieri la vittoria e di non cercare il raddoppio approfittando della superiorità tecnica sui coreani.

A distanza di dodici anni quella scritta mi è tornata in mente. Vedendo l’arbitro messicano Rodriguez espellere in modo affrettato e ingiusto Marchisio al 59′ di Italia-Uruguay, abbiamo tutti pensato a Byron Moreno e Totti o alla cacciata di Zola in Italia-Nigeria del 1994 da parte dell’altro messicano Brizio Carter. Vedendo Suárez mordere Chiellini senza conseguenze disciplinari e Godín segnare di testa il definitivo 1-0, l’epifania della disfatta coreana si è completata, anche perché nessun Roberto Baggio ha riportato la nazionale in corsa.
Ma purtroppo il 24 giugno 2014 non è stato tutto questo a farmi ripensare alla “morte del calcio” e non perché Prandelli avesse dimostrato solo di avere le idee confuse e si fosse comportato peggio del Trap nel 2002, inserendo Cassano e Thiago Motta in ottica mantenimento dello 0-0 e lasciando all’Uruguay, a corto di fiato quasi peggio dell’Italia, il pallino del gioco.
ciro_esposito_soccorsi_ansa-300x300Il problema è che il sostantivo “morte” già alcune ore prima dell’inizio della partita contro l’Uruguay si era svestito del significato metaforico per assumere quello proprio. Le agenzie di stampa avevano, infatti, battuto la notizia del decesso di Ciro Esposito, il tifoso napoletano ferito con un’arma da fuoco dall’ultrà della Roma appartenente a gruppi di estrema destra (Daniele De Santis) in occasione degli incidenti, o meglio dell’agguato, che era stato riservato ad alcuni pullman provenienti da Napoli il 3 maggio, prima della finale di Coppa Italia con la Fiorentina. Quella di Genny ‘a carogna, per intenderci, e della sua crocifissione per una T-shirt che offendeva la sensibilità delle istituzioni, messa in piedi dai media mentre un ragazzo di 30 anni versava in gravi condizioni al Gemelli e altri due vi venivano trasportati perché colpiti anch’essi da un’arma da fuoco. Chiari indizi che quanto accaduto a Tor di Quinto andava molto al di là di una banale e occasionale lite tra tifosi (anche se per ora in arresto c’è il solo De Santis).

Per rispetto verso Ciro e i suoi famigliari e amici il comune di Napoli annullava la trasmissione della partita dell’Italia al maxischermo di Scampia. I messaggi via twitter e facebook si susseguivano e qualcuno lanciava l’idea di far giocare la nazionale col lutto al braccio.
Ma quello che nasce farsa, tale rimane anche in presenza di un reale dramma. Si scopriva così che quella “morte” era in realtà “morte clinica”. Alcuni giornali nel riportare la notizia avevano frainteso. Ed ecco allora comparire prima del calcio d’inizio di Italia-Uruguay inviati dal policlinico Gemelli che spiegavano come morte clinica equivalesse a un collasso multiorgano, ma che concludevano il loro intervento con un invito alla speranza e (vedi Mazzocchi) anche alla preghiera.
Ciro Esposito è stato dichiarato morto solo la mattina del 25 giugno. Qualcuno ha continuato a riempirsi la bocca della triste vicenda, glissando su quanto spazio in più avesse riservato alla T-shirt di Genny e al DASPO comminato per questo al capo-ultrà napoletano. La Federazione non ha avuto neanche il dubbio se scendere o meno in campo con qualcosa che rimandasse al lutto e, vedendo la prestazione degli azzurri, questo è forse un bene. Ci prepariamo adesso ai funerali e alle immancabili parole di conforto del Presidente Napolitano.
Ci pervade un senso di tristezza, anche perché i complici dell’assassino di Ciro sono ancora in giro.

federico