Un gol di Marco Simone dopo pochi minuti decide la partita, poi qualche sprazzo di Savićević, ma complessivamente più Torino che Milan e una traversa di Aguilera a negare ai granata il pari e, chissà, i rigori. Uno spettacolo che sembra, però, fuori luogo in quella atmosfera da sport americano senza tifo organizzato sugli spalti e con lo speaker che spiega le azioni più emozionanti al pubblico[1], comunque superiore alle attese. Senza contare che lì c’è il sole mentre da noi è sera.
La prima volta che la Supercoppa italiana si è assegnata all’estero è andata così. Era il 21 agosto 1993 e, chiaramente, senza la paura che «Fondamentalmente agli americani non interessano i mondiali di calcio / americani» e che, quindi, l’estate successiva la Coppa del Mondo FIFA in terra statunitense si potesse rivelare un completo fallimento, commercialmente parlando, il presidente Nizzola e la Lega Calcio avrebbero fatto disputare il match al Meazza, in casa della vincitrice dello scudetto, e non a Washington DC.

Quella che allora sembrò un’eccezione, adesso è diventata la regola, o quasi. L’attuale presidente della Lega di Serie A Micciché ha dichiarato che «il trofeo […] è stato [sin dal 1993] il biglietto da visita per esportare e promuovere il calcio italiano nel mondo». Ovvero, in attesa che big match di Serie A siano programmati chissà dove in ossequio al precetto che tutto è prodotto e si deve valutare solo in termini di ritorno di immagine, cosa c’è di più comodo che esportare una sfida che è sì ufficiale, ma non ha poi tanta storia dietro di sé nell’ottica di sbarcare in nuovi mercati o rinsaldare partnership già avviate? Non a caso, tra il 2009 e il 2017 la Supercoppa italiana si è disputata due volte in Qatar e quattro volte in Cina, ovvero la sede dei prossimi Mondiali FIFA e la nazione che sta investendo di più nel pallone e che sogna di diventare da qui a trent’anni una superpotenza calcistica.

Con l’edizione 2018, in programma in verità a gennaio 2019, una quinta nazione si aggiunge alla lista, l’Arabia Saudita. Non va, infatti, dimenticato che nell’agosto 2002 Parma e Juventus si contesero la Supercoppa a Tripoli, su un campo infame pieno di buche tappate alla bell’e meglio con la sabbia, in uno stadio che sembrava deserto nonostante i quarantamila spettatori -tutti uomini- sugli spalti e con due fiammanti citycar FIAT a bordocampo.
Se, però, il viaggio in Libia fu per la Supercoppa una sorta di endorsement della candidatura libica a sede del Mondiale 2010[2] e un omaggio al legame tra le famiglie Agnelli e Gheddafi, il cui terzogenito non a caso si incaricò di consegnare la coppa a Del Piero a fine match[3], il contratto stipulato con i sauditi dai vertici del calcio italiano è un vero e proprio avallo della strategia di soft power[4] che il principe Mohammed Bin Salman sta portando avanti da alcuni anni. L’amichevole di fine maggio tra le nazionali maggiori di Italia e Arabia Saudita ne è stato il primo passo, Juventus-Milan a Gedda sarà il secondo e cosa importa se nel frattempo, per volere con molta probabilità dello stesso Bin Salman, il giornalista Jamal Khashoggi è stato fatto a pezzi nell’ambasciata saudita di Istanbul o se, ancora una volta, per non “offendere” le tradizioni di una teocrazia, ci saranno limitazioni per le donne nell’accesso allo stadio…

Per correttezza va, invece, aggiunto che la Lega Calcio italiana non è la sola ad aver intrapreso con decisione la strada dell’esportazione della propria supercoppa per meri calcoli economici. In Francia accade lo stesso con il Trophée des Champions. Libreville, Pechino, Klagenfurt, Montreal. Tangeri, Shenzhen le sedi delle ultime sei edizioni, tra l’altro vinte tutte dal Paris Saint Germain.
Curiosamente, anche le ultime tre edizioni della Supercoppa dell’Arabia Saudita si sono disputate a Londra e precisamente nel 2015 e nel 2018 a Loftus Road, stadio del Queens Park Rangers, nel 2016 a Craven Cottage, la old style casa del Fulham. Non abbiamo informazioni dettagliate a riguardo, ma siamo pressocché sicuri che, anche se stavolta gli arabi vanno in trasferta e non ospitano -come nel caso di Juventus-Milan-, siano stati loro a pagare.
A continenti invertiti, l’Europa è, invece, terreno di caccia per il football americano: la NFL sbarca a Londra con costanza dal 2007, ha provato l’ebbrezza di giocare a Twickenham, nel tempio del rugby, ed è quasi di casa a Wembley, con poca gioia degli Spurs che il giorno prima del match di campionato contro il Manchester City hanno visto messo a dura prova da Philadelphia Eagles e Jacksonville Jaguars il terreno che ospita le loro partite interne in attesa della conclusione dei lavori a White Hart Lane.
Non che tutto questo ci consoli, anzi…

federico

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[1] La Stampa, 4 agosto 1993
[2] La candidatura congiunta Tunisia-Libia decadde nel 2004 dopo il ritiro della Tunisia. Da segnalare che ad assistere alla Supercoppa Italiana c’era anche l’allora presidente FIFA Blatter
[3] El Saadi Gheddafi era allora azionista della Juventus. Capitano della nazionale libica, nel 2003 sarebbe poi stato acquistato dal Perugia di Gaucci dove avrebbe raggranellato solo una presenza in campionato, proprio contro i bianconeri. Nel 1976 la banca centrale libica divenne invece proprietaria del 10% della FIAT
[4] Cfr. “Vision 2030”, investire nello sport per cambiare immagine: il caso Arabia Saudita