Io rispetto l’omofobia
Francesco Totti, lapsus

Il caldo torrido brasiliano, l’ingiusta espulsione di Marchisio, il morso non punito di Suarez a Chiellini, il gol di Godìn solo negli ultimi minuti. Tutti alibi che non possono bastare: il 24 giugno 2014 l’Italia per la seconda volta consecutiva si ritrova fuori dalla fase a eliminazione diretta di un Mondiale. È il fallimento di un progetto non solo tecnico. Le dimissioni congiunte del ct Cesare Prandelli e del presidente della FIGC Giancarlo Abete colgono un po’ tutti di sorpresa per l’immediatezza con cui avvengono, ma alla fin fine sembrano la naturale soluzione per dare una scossa all’ambiente.
Si fanno le prime ipotesi per la successione di Abete, passo propedeutico alla scelta di un nuovo selezionatore. Il vicepresidente Demetrio Albertini formalizza la sua candidatura, ma si capisce ben presto che per l’ex centrocampista del Milan e della Nazionale ci sarà poco da fare contro il nome su cui convergeranno gran parte delle società di Serie A e B, Lega Pro e soprattutto LND, la Lega Nazionale Dilettanti che da sola rappresenta il 33% dei votanti.
Il nome in questione è Carlo Tavecchio, uomo ignoto ai più, presidente proprio della lega dei dilettanti sin dal 1999, ex esponente DC (come del resto Abete), nonché sindaco di Ponte Lambro per quattro mandati dal 1976 al 1995. Un curriculum di tutto rispetto che annovera condanne e successiva riabilitazione per vari reati di natura fiscale,[1] e l’incarico da consulente del Ministero dell’Economia per le problematiche di natura fiscale e tributaria relative all’attività sportiva dilettantistica.
L’11 agosto 2014 Tavecchio viene eletto presidente della Federcalcio. Gli italiani avranno più spazio? Si tornerà a una Serie A a 18 squadre? Sarà Antonio Conte il prossimo ct della Nazionale? I titoli e gli articoli delle più importanti testate riassumono così le principali questioni che accompagneranno la nuova dirigenza.

Di dubbi, intanto, se ne è già fugato uno: come massimo rappresentante di un movimento calcistico, quello italiano, che si sente spesso autorizzato a rilasciare col sorriso sulle labbra dichiarazioni contro immigrati, “finocchi”, lesbiche e donne che non sanno giocare a pallone, il neoeletto è perfetto.
Prima ancora di salire al soglio presidenziale Tavecchio balza, infatti, agli onori della cronaca per una dichiarazione che strizza l’occhio ai trasversali tormentoni calcistici da bar, ma che del «non si punta sui giovani» o del «ci sono troppi stranieri» non si fa mancare la premessa ideologica: lo stereotipo razzista del “negro” che viene in Italia a rubare il lavoro. Il tutto condito col tipico linguaggio che dai suddetti bar sta tracimando in molte sedi istituzionali, Parlamento compreso.
Stiamo parlando della tristemente famosa frase su tale «Opti Poba che è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree». Pronunciata durante l’assemblea estiva della LND il 25 luglio 2014 – e, quindi, in una occasione ufficiale e in piena campagna elettorale –, viene liquidata come «gaffe» dalla gran parte della stampa italiana, che prende per buone anche le scuse del futuro presidente, perché la sua vita «è improntata all’impegno sociale, al rispetto delle persone, tutte, e al volontariato: in particolare in Africa», come fa sapere, ad esempio, La Repubblica.
Il vaso di Pandora, però, si è scoperchiato.

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[1] La sentenza di riabilitazione è precedente al luglio del 2014. Un atto dell’Anac, l’Autorità Anticorruzione, del settembre 2016 ha stabilito che “non sussiste un problema di inconferibilità dell’incarico [di presidente FIGC] legato a passate condanne penali, perché nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza di riabilitazione”