Quando si pensa alla curva nord dell’Olimpico di Roma, la mente corre semplicisticamente a croci celtiche, svastiche, DVX nobis e altre amenità da cinegiornale Luce. Anche perché alcuni ultras della Lazio difficilmente si fanno scappare l’occasione di inneggiare a un criminale e stavolta, infatti, parliamo di uno striscione apparso durante Lazio-Bari (3-1) del 30 gennaio del 2000, che recitava «Onore alla tigre Arkan». Il riferimento è chiaro. Arkan è il soprannome di Željko Ražnatović, criminale di guerra serbo accusato di genocidio e crimini contro l’umanità, il cui legame con il calcio è sempre stato forte: oltre a essere stato presidente di una squadra (FC Obilić di Belgrado), Ražnatović ha reclutato le sue tigri -la milizia che seminava il terrore in Croazia e soprattutto Bosnia- in gran parte attingendo tra gli ultras della Stella Rossa. Quasi impossibile quantificare gli omicidi delle tigri di Arkan, ma giusto per fare qualche cifra si parla di quattrocento morti a Bijeljina, seicento a Brčko, ventimila persone uccise a Prijedor e nei paesi vicini, novecento uccise a Sanski Most, settecento a Cerska, e poi c’è anche la partecipazione al famoso massacro di Srebrenica.
Ma torniamo allo striscione. In quella Lazio militava Siniša Mihajlović (serbo, che all’epoca della guerra giocava nella Stella Rossa), amico di Ražnatović a tal punto che si pensa avesse commissionato lui quella scritta sul lenzuolo, per ricordare la sua esecuzione avvenuta due settimane prima all’Hotel Intercontinental di Belgrado. «Era un mio amico, era il capo degli ultras della Stella Rossa. Io gli amici non li rinnego», queste le parole del futuro allenatore di Sampdoria, Milan e Torino. All’epoca, però, un suo compagno di squadra non la prese bene. Si tratta di Alen Bokšić, croato, che durante quella partita non scese in campo ma dichiarò: «Sto male, molto male. Sono amareggiato e deluso anche perchè quella scritta viene dai miei tifosi. Hanno reso onore a quello che tutto il mondo considera un criminale di guerra contro il mio popolo. Davvero non si rendono conto di quello che fanno». Nessun problema con Mihajlović, però: «Con Siniša abbiamo parlato del suo necrologio, ma per lui Arkan era un amico e forse avrei fatto anch’io la stessa cosa». Ne seguì la solita italianissima manfrina, con la Melandri a chiedere la sospensione delle partite in caso di striscioni offensivi o inneggianti a violenza e razzismo, con il portavoce degli irriducibili (Giorgio Martini, ex deputato An oltre che ex terzino biancoceleste) che disse «la scritta è stata esposta in buona fede», e con Alessandra Mussolini che ha dichiarò «onore ai tifosi». Una cosa talmente ricorrente che questa cosa potrebbe essere successa ieri e vi invitiamo a leggere questo articolo de La Repubblica a dimostrazione di ciò.
La domenica successiva, il 7 febbraio, mentre Vittorio Sgarbi difendeva a modo suo la “libertà d’espressione” dichiarando a Domenica In 2000 che «solo due femminucce come il ministro Bianco e la Melandri potevano pensare a un provvedimento come questo», e mentre a San Siro appariva una scritta “Benvenuta Giulia” a salutare la figlia di Abbiati (sbadigli), la Lazio era in trasferta a Torino. E per fortuna ci pensarono i tifosi granata a spezzare la routine, esponendo uno striscione che si è mangiato in un sol boccone la stupidità degli ultras laziali e la retorica della Melandri. “Onore al Gatto Silvestro”.
daniele
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