“Attenzione, da qui al Duemila quel Savićević sarà un incubo”. Paolo Condò sulla Gazzetta dello Sport del 10 maggio 1990 titola così il suo articolo di commento al 2-2 di Parma che ha promosso la Jugoslavia Under 21 alla finale dell’Europeo di categoria ai danni degli azzurri. Il giornalista osserva poi come il giocatore, che con la Stella Rossa ha fatto tremare il Milan la stagione precedente, abbia “in Boban e Prosinečki due rampe di lancio di nobiltà assoluta”; noi aggiungiamo che anche Davor Šuker, i panchinari Mijatović e Jugović e l’assente Bokšić non sono poi tanto male e che persino il terzino sinistro, Robert Jarni, è uno che in carriera si toglierà le sue belle soddisfazioni.
La dizione ufficiale è Competizione UEFA Speranze Under 21, ma -mai come in questo caso- ci sembra esser di fronte a una squadra fatta di certezze, di calciatori che faranno effettivamente tanta strada. Chi non ne farà è invece la nazionale che essi rappresentano, e non perché, sportivamente parlando, non riuscirà ad ottenere sul campo i risultati che una tale nidiata di campioni avrebbero potuto garantirle, ma perché si dissolverà di lì a due anni, insieme con la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Ironia della sorte, per gli slavi la finale di quell’Europeo è come trovarsi di fronte a uno specchio. La loro avversaria, infatti, proviene da un altro stato che sta per disgregarsi (e, anzi, si disgregherà ancor prima) ed è anch’essa piena di talenti che in giro per l’Europa, nel decennio a venire, sapranno mettersi in mostra, pur non arrivando a decidere finali di Coppa dei Campioni o a cogliere podi mondiali, come i reduci della nazionale giovanile jugoslava. Stiamo parlando dell’URSS Under 21 e delle sue giovani promesse Igor Shalimov, Kanchelskis, Dobrovolskij, Kolyvanov e Mostovoj.
Anche Sarajevo, la città che il 5 settembre ospita la finale di andata, è destinata ad assumere un volto ben diverso negli anni successivi. Boban quel giorno non gioca e i fatti del Maksimir e la squalifica per il calcio rifilato al poliziotto, che cercava di manganellarlo, c’entrano sicuramente.[1] Non sono dell’incontro neanche Prosinečki e Savićević, ma per scelta tecnica. La partita, infatti, non la fanno i fantasmi del futuro, non delude le attese e regala ben sei gol, quattro dei sovietici e due dei padroni di casa. Apre Sidelnikov, centrale del Dniepr (l’attuale Dnipro), con un sinistro da 40 metri che sorprende Leković al 9′. Un cambio in corsa e gli slavi tornano in partita: Šuker pareggia su corta respinta del portiere sovietico Eremin, Bokšić manca il vantaggio pochi minuti dopo su uscita dello stesso Eremin, e Pozdnjakov respinge sulla linea la successiva conclusione di Jarni. Prima della fine del tempo arriva la rete che orienta in modo definitivo l’incontro: la testa di Chernyshov su corner porta gli ospiti in vantaggio 1-2. A inizio ripresa è ancora Sidelnikov a segnare, riprendendo una corta respinta del portiere avversario, e le reti successive di Jarni, testa su corner, e Dobrovolskij, su rigore concesso per un atterramento di Shalimov, non modificano la sostanza del punteggio.
A Simferopoli, il 17 ottobre, non c’è storia: Dobrovolskij, Mostovoj e Kanchelskis fanno aumentare a dismisura il vantaggio maturato all’andata e il gol di Bokšić nel finale serve solo a lenire il passivo. Accanto all’Europeo vero, vinto nel 1960, ai due ori conquistati alle Olimpiadi nel 1956 e nel 1988, la federazione sovietica può così mettere in bacheca il terzo Europeo giovanile della sua storia, prima di chiuderle per sempre. Storia e bacheca.
federico
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[1] La guerra del Maksimir tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa va in scena il 13 maggio 1990, solo tre giorni dopo il match di ritorno con l’Italia Under 21. Boban rimedia una squalifica di sei mesi, salta Italia ’90, poi la squalifica viene ridotta (tanto che a ottobre per la finale di ritorno sarà in campo).