Corriamo, c’è un altro film del Nuovo Cinema Italiano
vi ci si specchia tutta una generazione
e in mezzo al film c’è la partita di pallone
Buona la prima, Avanzi Sound Machine
Nella prima metà degli anni Ottanta l’industria cinematografica italiana produce una serie di B movie ispirati al mondo del calcio, quali L’allenatore nel pallone, Eccezzziunale… veramente o Al bar dello sport, film cult anche per molte generazioni successive. Del resto, come scrivono Papa e Panico in Storia sociale del calcio in Italia, il cinema di argomento calcistico in italia aveva rivelato la sua vocazione comica fin dal suo esordio, datato 1932, con la pellicola Cinque a zero di Mario Bonnard. Il fatto è che, in cinquanta anni e più, si era allontanato dalla commedia vera e propria solo per trattare pressoché gli stessi temi -tifo, arbitri, tredici che ti cambia la vita-, ma con un registro diverso, a volte sarcastico, altre volte drammatico.
Quello che, invece, accade alla fine degli stessi anni Ottanta in Italia-Germania 4-3 di Andrea Barzini e in Marrakech Express di Gabriele Salvatores è qualcosa di davvero speciale, perché in questi due film il calcio assume un suo significato simbolico ben preciso e non è solo il terreno su cui le persone riversano passioni, sogni e manie.
Siamo all’interno di quella breve, anzi brevissima stagione che fu battezzata Nuovo Cinema Italiano, ma che in pochi ormai ricordano come tale. Un gruppo di giovani registi sta cercando di raccontare attraverso il mezzo di comunicazione di massa cinema la crisi che attraversa una parte cospicua della società italiana, ormai «orfana di una ideologia andata a male», per dirla con gli Avanzi Sound Machine.
Alle prese con la voglia di raccontare e di raccontarsi in quella generazione di quarantenni che ha avuto le amicizie rovinate dagli amori e gli amori annacquati dalla quotidianità, che ha visto i propri sogni di rivoluzione passare di moda e ora ha comprato un auto di grossa cilindrata o messo su una bella casa, Barzini e Salvatores piazzano in mezzo al loro film una partita di pallone, la caricano di significato e la fanno divenire dimensione parallela in cui i conflitti si sciolgono o si evolvono ribaltando le attese dei protagonisti.
Partiamo con Marrakech Express, nelle sale nel corso del 1989. Teresa, un’affascinante e sconosciuta donna, convince quattro amici che non si vedono più dai tempi dell’università e della contestazione ad andare in Marocco perché l’altro ex componente del gruppo è in pericolo. La caduta del muro è dietro l’angolo e la crisi degli ideali si vede solo di riflesso, ma in fondo è l’insoddisfazione per ciò che si è diventati la molla che spinge Marco, Ponchia, Paolino e Cedro a imbarcarsi in questo viaggio per “salvare” Rudy. Però, fino al momento in cui i quattro e Teresa non si giocano a calcio nel mezzo del deserto in una improbabile Italia-Marocco un tubo che nasconde al suo interno dei soldi, a vincere è la volontà di rimanere ancorati alla propria vita borghese da concessionario di auto (Ponchia) o ai problemi di donne che li hanno col tempo allontanati (Paolino e Cedro).
Il successo ottenuto con tanto di gol spettacolari e rigore parato da Teresa, invece, rinsalda l’amicizia perduta e prelude al ritrovo anche di Rudy, che poi in pericolo non è e ha bisogno dei soldi solo per far crescere le arance nel deserto. E già, perché «la poetica del viaggio e della fuga» (altra citazione della canzone Buona la prima) non ha davvero senso di esistere senza una piccola conquista che rimandi ai sogni rivoluzionari di gioventù. Il film finisce con la promessa di rimettere su la squadra di pallone una volta tornati a Milano, con la sensazione di un qualcosa di rinnovato che va al di là dei ricordi condivisi. Per tutti tranne per Marco, il più convinto a inizio film del potere salvifico del viaggio, il più deluso alla fine anche perché scopre che Teresa, di cui si è invaghito, è moglie di Rudy.
Al di là dell’inevitabile presenza di cliché, Marrakech Express è un film ben riuscito, delicato e ironico. La scena della partita è poi una di quelle che non si dimentica, perché costruita sapientemente attorno alla passione calcio. Non a caso a distanza di cinque anni nel film Tre uomini e una gamba Aldo, Giovanni e Giacomo la citano, modificandola per renderla a loro modo altrettanto indimenticabile.
Ha lasciato molte meno tracce, invece, l’altra pellicola, Italia-Germania 4-3. Innanzitutto per l’ambientazione, che non è il Marocco esotico e atemporale di Salvatores, ma una casa bene della Milano da bere del 1990, anno di uscita del film. Anche i dialoghi e le situazioni ricadono continuamente sull’attualità, sul cosa si farà adesso che il blocco comunista non c’è più. Nella lunga scena che prelude al finale, ad esempio, improbabili rappresentanti della Disney in Ungheria, Cecoslovacchia e in altri Paesi dell’Est Europa riempiono la casa del protagonista imbracciando grossi pupazzi di Topolino e uno dei neoricchi dice «siamo felici di fare felici tutti i bambini e i genitori». E tutto questo rende il film datato e autoreferenziale agli occhi di chi quel particolare momento storico non l’ha vissuto o non immagina nemmeno che ci sia stato.
C’è, però, a parer nostro, un altro motivo che spiega perché il film sia ignoto ai più, un motivo connesso al metodo con cui Barzini usa la passione calcio, una scelta esattamente opposta a quella operata da Salvatores: invece di risolvere i problemi, la visione di Italia-Germania quattratré li porta a galla. Infatti, i tre amici Federico, Antonio e Francesco si ritrovano a cena, di nuovo tutti insieme dopo tantissimi anni proprio perché in TV danno la replica della leggendaria partita dell’Azteca. L’idea è semplice: ricordando a venti anni di distanza le emozioni provate tutti insieme quella sera del ’70 sarà più facile far finta che gli anni non siano passati, che si è ancora quelli dei tempi della contestazione e del liceo e che molte cose non siano successe. Così, imbeccati dal padrone di casa -Francesco- curano maniacalmente la disposizione delle sedie e il menù, ripetono tutti i loro movimenti finché la vita attuale non irrompe e le cose taciute per anni non vengono rinfacciate a vicenda. I conflitti alla fine si risolvono perché «con gli amici tanto ci si riconcilierà» (ultima volta che citiamo Buona la prima, giuriamo), Francesco sembra addirittura poter fare pace con la moglie, ma la TV viene spenta dopo il gol del 3-2 di Riva. Niente 3-3 di Gerd Müller, niente errore e rinascita di Rivera: evidentemente la maturità dell’amicizia tra i protagonisti non avrà a che fare con la nostalgia. Ed è importante notare come Barzini e Salvatores diano allo stesso attore, Fabrizio Bentivoglio, la parte dell’amico che inizialmente crede di più al piano e che poi si ritrova a far i conti con una realtà differente: meno rosea per Marco di Marrakech Express, più promettente per Francesco di Italia-Germania 4-3. Identità di vedute tra i due registi che si riflette anche nella scelta di affidare a Giuseppe Cederna il ruolo di quello del gruppo che ha più conti in sospeso col passato.
Anche se, a dire la verità, la cosa più divertente è pensare che il Ponchia di Salvatores e il tifoso interista di Eccezzziunale… veramente sono interpretati dallo stesso attore, Diego Abatantuono, e in pratica sono lo stesso personaggio. Che tra l’altro ritroviamo improvvisato portiere sulla spiaggia di un’isola greca negli anni Quaranta aspettare che il suo avversario batta un rigore mentre dietro di lui sta atterrando un biplano a motore in Mediterraneo, sempre di Salvatores, anno 1992. Il viaggio, anzi la fuga e la partita di pallone ci sono ancora, ma il tema della crisi del blocco dei Paesi dell’Est ormai non tira più perché Il Nuovo Cinema Italiano ha smesso di correre. A camminare rimarranno alcuni degli attori e dei registi che quella stagione ha lanciato.
federico