Michele Moretti

Michele Moretti

Michele Moretti non è mai diventato famoso come calciatore. Terzino destro, roccioso, il momento migliore della carriera lo vive nella sua città natale, Como, tra il 1929 e il 1934. È infatti uno dei pilastri della Comense, che nella stagione 1929/30 rimane imbattuta nel campionato di Prima Divisione, guadagna la promozione in Serie B (e una coppa donata dalla Federazione a imperituro ricordo) e che l’anno successivo sfiora la promozione in Serie A.
Michele Moretti però non è mai diventato famoso neanche nel dopoguerra, come sindacalista o come uomo politico. Perché dopo esser stato il comandante partigiano Pietro Gatti nel corso della Resistenza, dopo esser stato alcuni anni esule in Jugoslavia, torna nella sua Como a fare l’operaio. Finché non partecipa da capo della commissione interna a uno sciopero nel 1954, viene licenziato e allora si mette a far l’artigiano.
Eppure Moretti non è stato un partigiano come tanti, uno di quelli che scoprono la propria vocazione alla libertà solo quando il vecchio regime ha ormai i mesi, i giorni o le ore contate. Classe 1908, Michele oltre al calciatore di Serie C fa da sempre l’operaio. Suo padre, ferroviere socialista licenziato nel 1922 a seguito di una serie di scioperi, deve avergli insegnato a non rimanere in silenzio. Tanto che Moretti sin dalla metà degli anni Trenta è iscritto al Partito Comunista clandestino, organizza scioperi e coordina le proteste nella sua fabbrica, la cartiera Burgo di Maslianico. Dopo il 25 luglio 1943 sfugge alla deportazione in Germania e lo ritroviamo commissario politico nella 52° Brigata Garibaldi. Intanto Michele Moretti ha lasciato il posto a Pietro Gatti, che da comandante partigiano si appresta a vivere l’evento più importante della sua vita.

Il 27 aprile 1945 a Dongo la 52° Garibaldi cattura l’ex capo del fascismo Benito Mussolini, la sua donna Claretta Petacci e altri gerarchi. Tra pressioni degli anglo-americani, che vorrebbero preservare la vita del fu duce (non si mai, potrebbe tornar utile), e fretta di agire, si decide di segregare Mussolini e la Petacci in una villa presso Blevio e, nel pomeriggio del giorno successivo, di fucilarli. Nel commando che mette in scena l’ultimo atto del fascismo ci sono certamente “il colonnello Valerio” (Walter Ausidio), “Guido” (Aldo Lampredi), arrivati da Milano per svolgere l’operazione, e Pietro Gatti. Il fucile di Valerio si inceppa al momento dell’esecuzione e così il colonnello ordina a Pietro di porgergli il suo mitra Mas 7,65. Che non si incepperà. L’arma che uccide Mussolini è, quindi, il mitra del terzino. E qualcuno sostiene che la consegna del mitra a Valerio sia avvenuta solo dopo una raffica iniziale dello stesso Moretti.[1]

Attila Sallustro con la maglia del Napoli

Attila Sallustro con la maglia del Napoli

Tra il mistero dell’oro di Dongo, il tesoro della Repubblica Sociale di cui si perdono le tracce al momento della cattura di Mussolini, e strane ripercussioni nei confronti di chi ha ucciso Mussolini, contravvenendo forse a ordini superiori, il ritorno alla normalità di Pietro Gatti non è facile e avviene solo nel 1947, dopo due anni da Tito. Da qui forse la volontà di Moretti di schivare la notorietà, di ritornare all’antico, nella sua Como, a fare prima l’operaio e poi l’artigiano. Fino alla sua morte avvenuta nel marzo 1995.
Non a caso in un’intervista rilasciata nel 1990 e riportata sul Corriere dello Sport del 25 Aprile 1995, non esita a indicare quali anni migliori della sua vita quelli passati da terzino. Le sue stagioni alla Comense, il campionato vinto, l’accoglienza della gente in città e un allenamento fatto con la Nazionale A nel 1933 o nel 1934. In quella occasione riceve un duro colpo da Attila Sallustro, il centrattacco italo-argentino che a Napoli fa sfaceli, ma non esita a restituirglielo. Vittorio Pozzo nell’intervallo lo rimprovera per il suo intervento falloso e gli rammenta che la domenica successiva Sallustro avrebbe vestito la maglia azzurra. Moretti candidamente risponde che gli dispiace, ma che le sue spalle valgono come quelle degli altri. E non è disposto a subire colpi proibiti gratis.
Anzi non è stato mai disposto a subirne, aggiungiamo noi, e la sua vita da operaio e da partigiano sta a dimostrarlo.

federico

Fonti: Corriere dello Sport, 25 Aprile 1995; voce Michele Moretti su wikipedia.it
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[1] La versione ufficiale, avvallata dal P.C.I., da Audisio e da Lampredi, sostiene che a sparare sia stato Audisio, ma qualche storico sostiene che a sparare sia stato proprio Moretti, basandosi soprattutto su quanto riportato da un altro partigiano che aveva avuto il compito di scortare i prigionieri sul luogo dell’esecuzione