[qui la prima parte]

12 giugno 1949, Ungheria-Italia 1-1
Nelle file dei magiari c’erano già Bozsik, Kocsis e Puskas. Non c’era Sebes ad allenarli, ma comunque non sarebbe loro sfuggita la vittoria nella prima edizione post seconda Guerra mondiale della Coppa Internazionale. Una manifestazione a cui gli azzurri si aggregarono solo a partire dal maggio 1949, quando le altre quattro – Austria, Cecoslovacchia, Svizzera e, appunto, Ungheria – avevano già dato vita a nove incontri.
Il match di Budapest finì in parità. Come alcune settimane prima nel 3-1 sull’Austria, gli azzurri onorarono la memoria del Grande Torino la cui scomparsa aveva di fatto costretto la commissione tecnica a rifondare la Nazionale[1]. Segnò subito Carapellese, i magiari pareggiarono alla mezz’ora del primo tempo, attaccarono a testa bassa nel corso della ripresa, ma la difesa italiana riuscì a resistere.

Non finì in parità, invece, il match diplomatico. Pochi giorni prima dell’incontro La Gazzetta dello Sport aveva data per certa la presenza allo stadio del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti, che nel marzo dello stesso anno si era a Madrid, nella Spagna franchista, in occasione di un’altra trasferta della Nazionale. Il buon Giulio, però, a Budapest non era poi andato e questa coincidenza aveva dato particolarmente fastidio al PCI.
In terra magiara la situazione era in piena evoluzione, ma in quel giugno del 1949 era sempre più chiaro come sarebbe andata a finire: sotto la più che ventennale reggenza di Horthy (1920-1944), il Regno di Ungheria aveva abbracciato politiche via via più nazionaliste, fino a scendere in guerra al fianco dei nazifascisti e a darsi da fare nella persecuzione degli ebrei; con l’arrivo dell’Armata Rossa, il paese era, però, finito nella sfera d’influenza sovietica tanto che di lì a due mesi ci sarebbe stato il passaggio anche formale da Repubblica – parlamentare – a Repubblica popolare di Ungheria e il potere sarebbe passato definitivamente nelle mani del Partito dei Lavoratori Ungheresi.
Tra l’altro, proprio l’autore della rete realizzata agli azzurri, Ferenc Deak, attaccante da 29 gol in 20 partite in Nazionale e da 59 gol in 30 partite nella stagione 1948/49 con il Ferencvaros, non avrebbe più indossato la maglia dell’Ungheria perché inviso al neo Partito-Stato.

Ad ogni modo, il senatore del PCI Umberto Terracini il 20 giugno, nel corso di una seduta del Senato, chiese lumi riguardo al comportamento avuto da Andreotti in occasione delle recenti trasferte della Nazionale. L’esponente della DC si limitò a dire che il viaggio in Spagna «era dovuto unicamente a un cortese invito del Governo di Franco», che «i suoi colloqui con personalità governative spagnole non sono stati altro che semplici visite di cortesia»[2].

Scrive Nicola Sbetti in Giochi diplomatici. Sport e politica estera nell’Italia del secondo dopoguerra

[Andreotti] poté affermare, sfruttando abilmente il linguaggio proprio del mondo sportivo, che il suo viaggio in Spagna «non aveva significato politico». Sempre facendo leva sull’artifizio retorico dell’apoliticità dello sport, poté inoltre giustificare la sua assenza dalla trasferta di Budapest […], affermando che dall’Ungheria non era arrivato nessun invito agli esponenti del governo italiano.

[continua…]

Immagine tratta da La Gazzetta dello Sport, 14 giugno 1949

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[1] Dopo aver sollevato Vittorio Pozzo dall’incarico di ct nell’estate del 1948, la FIGC aveva affidato la Nazionale a una commissione formata da Ferruccio Novo (che è ufficialmente l’allenatore), Aldo Bardelli, Roberto Copernico, Vincenzo Biancone
[2] Virgolettati tratti da La Stampa, 21 giugno 1949. Il virgolettato riportato nella citazione di Sbetti è tratto da Il Popolo, 22 giugno 1949