Se di mezzo ci sono i maestri del football, la squadra che vince può immancabilmente essere etichettata come “campione del mondo”. A patto che sia britannica. Se, invece, il trofeo se lo contendono club provenienti da altre parti d’Europa, allora non si ha diritto a usare quel titolo e, in fondo, a nessuno verrebbe in mente di usarlo.
Sembrano seguire questa regola le amichevoli d’eccezione e le competizioni internazionali tra club disputate tra il 1887 e il 1954 . La prima volta che viene usata la parola “World Champion” è, infatti, in merito alle sfide tra club professionisti scozzesi e inglesi tenute con cadenza non regolare tra il 1887 e il 1902. “Campione del mondo” diventa anche il West Auckland, club di una lega minore inglese, battendo nel 1909 e nel 1911 al Trofeo Lipton squadre tedesche, svizzere e italiane. Non dà, invece, diritto al titolo la Coppa Ponthoz, disputata tra il 1900 e il 1907: vi partecipano sì squadre inglesi, ma solo amateur e poi a vincere sono quasi sempre compagini belghe…
Rispettivamente alla fine degli anni Venti e alla fine degli anni Quaranta nascono la Mitropa Cup e la Coppa Latina, vere precorritrici delle coppe europee, data la qualità delle partecipanti. Però, a organizzatori e giornalisti interessati all’evento -tutti rigorosamente non inglesi- non viene in mente di proclamare la vincitrice neanche “campione d’Europa” perché le iscritte appartengono a specifiche aree geografiche, e non all’intero Vecchio Continente.
Poi una notte di dicembre del 1954 una squadra inglese diventa nuovamente “campione del mondo” e il francesissimo Gabriel Hanot sbotta, ponendo le basi per la nascita della Coppa dei Campioni. Una storia che merita di essere raccontata con più calma.
Per il calcio d’oltremanica i primi Anni Cinquanta non sono un gran bel periodo. L’Inghilterra si è decisa a rientrare nella FIFA, ma invece di mietere successi ha subito tre duri colpi al suo smisurato orgoglio: la sconfitta contro gli Stati Uniti al primo turno del Mondiale 1950 e la conseguente eliminazione, la profanazione di Wembley da parte dell’Ungheria d’oro nel novembre del 1953 e l’ancor più imbarazzante 7-1 subito a Budapest nel maggio del 1954 sempre da parte dei magiari. Anche ai Mondiali svizzeri i bianchi hanno raccolto poco, sconfitti ai quarti dall’Uruguay.
A tenere alto il vessillo e l’umore del football inglese ci devono quindi provare squadre come l’Arsenal o come il Wolverhampton Wanderers, che nel corso della stagione 1953/54 ha vinto per la prima volta la First Division. Le amichevoli internazionali tra club stanno, infatti, diventando una vetrina sempre più importante, specie se giocate alla luce dei riflettori che alcune società stanno cominciando a montare nei loro stadi.
Anche i Wolves lo hanno fatto, proprio nel corso della stagione 1953/54, e così, mentre regolano il West Bromwich Albion in campionato, hanno anche il tempo di ospitare una serie di partite in notturna al Molineux Stadium. Amichevoli caratterizzate da un largo seguito di pubblico e da una bella striscia di successi.
Si inizia il 30 settembre 1953, quando i padroni di casa battono 3-1 una selezione sudafricana in tour in Inghilterra. Poi il 14 ottobre è il turno dei futuri campioni di Scozia del Celtic Glasgow, sconfitti 2-0 grazie a una doppietta di Wilshaw. Il Glasgow Herald sottolinea la prova offerta quella sera dal centrocampista Billy Wright, capitano dei lupi e dell’Inghilterra che nella sua ventennale carriera giocherà con quelle due sole maglie mettendo insieme, rispettivamente, 541 presenze in First Division e 105 cap in Nazionale.
Si riprende il 10 marzo 1954 e a farne le spese sono gli argentini del Racing di Avellaneda, battuti 3-1. La serie positiva prosegue anche in trasferta tra agosto e settembre e nonostante l’assenza di Wright e Wilshaw, impegnati nei Mondiali in Svizzera. Arrivano due pareggi, 2-2 in casa del First Vienna[1] e un rocambolesco 3-3 in casa del Celtic, in cui il Wolverhampton non riesce però a gestire il vantaggio di due gol.
Il 13 ottobre 1954 si ricomincia alle luci del Molineux. Il First Vienna restituisce la visita e impatta 0-0, poi arrivano altre due vittorie. La prima è proprio una passeggiata, 10-0 al Maccabi Tel Aviv. La seconda è altisonante, 4-0 allo Spartak Mosca, ma un po’ bugiarda nelle dimensioni del punteggio maturato solo nella ripresa grazie ai gol di Wilshaw e Swinbourne e a una doppietta di Hancocks. Poco importa, però: i sovietici erano reduci da vittorie in casa dello Standard Liegi, dell’Anderlecht e soprattutto da un successo in notturna per 2-1 a Highbury.
Insomma, questi lupi cominciano quasi a credere di essere imbattibili sotto i riflettori e all’orizzonte c’è l’ultimo ostacolo, il più duro, l’Honved Budapest di Puskás, Bozsik, Lóránt, Budai, Kocsis e Czibor, sei undicesimi della squadra che aveva vinto a Wembley tredici mesi prima. Una partita che giornalisti inglesi e addetti ai lavori vedono come l’agognata possibilità di rivalersi sul calcio magiaro.
Il 13 dicembre 1954 la sfida va in scena. Le luci dei riflettori sono accese, i giocatori del Wolverhampton sfoggiano una casacca satinata per meglio rifulgere in TV, visto che c’è anche la diretta BBC. Il campo invece è fangosissimo, ma siamo pur sempre nel pieno dell’autunno inglese. La prima occasione è per i Wolves; sulla respinta del portiere Faragó, però, Les Smith non è bravo a trovare la porta. Difficoltà che invece non mostra Kocsis: punizione dalla destra di Puskás, testa del capocannoniere dei Mondiali appena conclusi e Honved in vantaggio. Swinbourne, a tu per tu con Faragó, si fa respingere il tiro, sulla ripartenza Machos, solo davanti all’estremo difensore inglese Williams, non restituisce la cortesia e fa 0-2. Sono passati appena 14 minuti. Williams salva la baracca poco tempo dopo, Smith impegna due volte Faragó e così al riposo si va con l’Honved in vantaggio di due reti.
L’inizio della ripresa è cruciale. I padroni di casa stanno spingendo sull’acceleratore, quando l’altro inglese in campo, l’arbitro Leafe, li aiuta a rimettersi subito in carreggiata: Hancocks, appena entrato in area, viene contrato da Kovács, senza neanche cadere per terra, ma per Leafe è rigore. Lo stesso Hancocks dal dischetto fa 1-2. La partita gira definitivamente a cavallo della mezzora quando Swinbourne segna prima di testa su cross da sinistra, poi con un destro in corsa ben lanciato da Smith. Il 3-2 finale è servito.
Il giorno dopo il Daily Mail titola «I Maestri inglesi vincono nel fango» e più sotto «Salutiamo i Wolves ora “Campioni del mondo”». Nell’articolo il giornalista David Wynne-Morgan racconta:
mentre guidata da Billy Wright la squadra degli eroi coperti di fango rientrava negli spogliatoi, il loro manager, Stanley Cullis, ha detto: «Eccoli, i campioni del mondo»
Eccola lì, di nuovo, quella investitura che era stata concessa al Renton nel 1888 e al West Auckland nel 1909 e che ora passa nelle mani del Wolverhampton.
Ma stavolta, senza volerlo, la prosopopea di Cullis, Wynne-Morgan e di tutta l’Inghilterra calcistica darà un grosso impulso affinché una competizione internazionale per club venga fatta davvero. I maestri perderanno così il privilegio, perché la decisione su quali match laureino davvero campione di qualcosa non dipenderà più solo dalla federazione di provenienza della squadra vincitrice.
federico
Fonti:
Calcio 2000, aprile 2000, La storia della Coppa dei Campioni
Old British Football, I Wolves dal dopoguerra ai primi floodlight matches
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[1] Su altre fonti si parla di una vittoria in trasferta dei Wolves per 0-2. Noi preferiamo adeguarci a quanto affermato qui