Storia dei risultati internazionali delle Nazionali africane. 3° puntata: Coppa d’Africa 1959-1965, Mondiali 1958-1970

La CAF ancora oggi sembra godere di una certa dose di autonomia all’interno di un universo calcistico influenzato dagli interessi di FIFA, UEFA e grandi club. Un rapido confronto fra quanto accade a livello di campionati continentali nelle varie confederazioni ne è una prova.
Schiacciata dall’interminabile girone che qualifica ai Mondiali, la CONMEBOL è passata nel 2007 da una Copa América a cadenza biennale ad una a cadenza quadriennale, uniformandosi di fatto a quanto fanno la UEFA in Europa e la AFC in Asia. La CAF e la CONCACAF, invece, organizzano la fase finale della loro manifestazione riservata alle nazionali ogni due anni, ma mentre centramericani e nordamericani giocano la Gold Cup in estate, la Coppa d’Africa fino al 2017 è andata in scena nei primi mesi dell’anno solare, quando i campionati europei sono in pieno svolgimento. Con il risultato che molti giocatori africani lasciano la loro squadra di club per due mesi circa e quando tornano sono spesso tacciati di esser fuori forma. La stessa cosa è accaduta nel 2022, nel 2024 e accadrà ogni qualvolta la kermesse sarà organizzata in luoghi in cui il cooling break serve anche a febbraio.

Le ragioni di questa “ostinazione” a fare della massima competizione continentale un appuntamento importante almeno quanto le pretese dei club europei sono, però, radicate e fortemente legate all’importanza politica e sociale che i governi e, di riflesso, le federazioni hanno sempre dato al calcio in Africa. Scrive Dietschy che, ancor prima che i singoli paesi ottenessero l’indipendenza,

il calcio contribuiva alla costruzione di una ‘comunità immaginata’ che magnificava i meriti atletici e le supposte virtù dei membri di un’associazione sportiva [… e serviva] anche per differenziarsi dai fratelli africani.

Del resto, nonostante la grandezza del continente e la non certo florida situazione economica, le federazioni affiliate alla CAF sin da principio puntarono a una Coppa d’Africa biennale e, a quasi sessanta anni di distanza, nessuno ha fatto cambiare loro idea. L’albo d’oro mostra come, prima dello slittamento causa Covid dell’edizione 2021 al 2022, solo altre due volte sono intercorsi tre anni tra un’edizione della coppa e la successiva. Entrambi i casi si verificarono nel primo decennio di vita della CAF, ma, come vedremo, non fu certo perché la confederazione continentale aveva le idee poco chiare.

Disputare nel 1959 al Cairo la seconda edizione della coppa, in fondo, non creò molti problemi. Le squadre iscritte erano rimaste in tre, l’unica differenza formale era costituita dalla nuova denominazione assunta dall’Egitto di Nasser, Repubblica Araba Unita.1 Girone all’italiana a tre e risultati praticamente uguali a quelli del 1957: la R.A.U. batte 4-0 l’Etiopia, 2-1 il Sudan e si conferma campione.
La terza edizione pose, invece, qualche dilemma. Le federazioni affiliate erano aumentate e Marocco, Tunisia, Nigeria, Uganda, Zanzibar e Kenya erano anche pronte a competere per la Coppa d’Africa. Si optò allora per ridurre a quattro il numero delle partecipanti alla fase finale attraverso due turni di qualificazione. Questo di fatto fece slittare al 1962 la disputa del torneo, ma niente drammi: si recuperò subito giocando la quarta edizione già nel 1963. Bastò prevedere un solo turno di qualificazione con partite di andata e ritorno, possibilmente tra rappresentanti di nazioni vicine, e sei squadre, invece che quattro, ammesse alla fase finale.2

Per la prima volta in queste due edizioni una squadra diversa dall’Egitto, o R.A.U. che dir si voglia, iscrisse il suo nome nell’albo d’oro. A riuscirci in entrambi i casi fu la Nazionale del paese ospitante. Nel 1962 vinse l’Etiopia, che schierava i due fratelli “italiani” Luciano e Italo Vassallo (Luciano ne era anche il capitano) e aveva in panchina Yidnekachew Tessema: una situazione non semplice, se consideriamo il retaggio coloniale che il cognome Vassallo portava inevitabilmente con sé e la visione decisamente africanista di Tessema. La finale contro la R.A.U. fu palpitante: sotto 1-2, gli etiopi trovarono a cinque minuti dallo scadere il pareggio con un gol del loro miglior attaccante di sempre, Menghistu Worku; ai supplementari furono poi Italo Vassallo e il solito Worku a fissare il risultato sul 4-2 finale.
Nel 1963 i tre paesi che avevano fondato la CAF avevano tutti già avuto occasione di ospitare la fase finale della Coppa d’Africa e così l’onere dell’organizzazione fu dato al Ghana, in virtù della forte tradizione calcistica alle loro spalle e del peso sullo scacchiere politico del presidente Kwame Nkrumah, anche lui convinto africanista. Le Black Stars contavano un solo tentativo non riuscito di qualificarsi (1962, eliminate al primo turno dalla Nigeria per sorteggio), ma seppero sfruttar bene il fattore campo e il fatto che la R.A.U. rimase fuori dalla finale per differenza reti, a vantaggio del Sudan, travolto poi dai ghanesi 3-0 in un match a senso unico.

Che le Black Stars fossero ormai una realtà lo si capì nei due anni successivi: un ottimo comportamento all’Olimpiade di Tokyo e poi il bis in coppa nel 1965. A vincere stavolta non fu la Nazionale del paese ospitante, cosa che non accadeva dalla prima edizione. I padroni di casa tunisini arrivarono, comunque, in finale e furono sconfitti dai ghanesi solo ai supplementari, 3-2, gol vincente di Odoi. In questa edizione pesò molto l’assenza degli egiziani, causata da problemi diplomatici con la Tunisia, mentre per la prima volta si affacciarono alla fase finale il Senegal, la Costa d’Avorio, e la Repubblica Democratica del Congo, ancora pre Mobutu.

Tra il 1965 e il 1968 ecco l’altro gap di tre anni tra un’edizione della coppa e la successiva, ma la partita che l’intera CAF giocò in quel lasso di tempo era troppo importante e il passaggio del più importante torneo continentale dagli anni dispari agli anni pari ne fu solo una piccola conseguenza.
Il 1966 è, infatti, un anno spartiacque nella storia internazionale del calcio africano, è l’anno di una nuova grande battaglia contro la FIFA. Terreno di scontro i Mondiali. A dispetto della larga diffusione che il football aveva avuto in Asia e Africa, a dispetto della buona capacità organizzativa che CAF e Asian Football Confederation avevano raggiunto nell’ultimo decennio, la presenza alle fasi finali dei Mondiali a questa parte di globo era quasi preclusa. Nelle qualificazioni per le Coppe Rimet  del 1958 e del 1962 le squadre africane e quelle asiatiche si erano dovute scontrare tra loro e poi avevano dovuto giocare uno “spareggio degli spareggi” contro una delle Nazionali arrivate seconde in uno dei gironi europei. E alla fine al Mondiale ci erano andate, rispettivamente, Galles e Jugoslavia.3

Così, al momento dell’organizzazione dei gironi per il Mondiale inglese, africani e asiatici non ci stavano più a doversi giocare le briciole e richiesero un meccanismo più equo. La FIFA rispose con un’apertura morbida impreganata di paternalismo e decisamente incurante dello stato delle cose: le squadre affialiate ad AFC e CAF, unitamente all’Australia avrebbero concorso a un posto, senza passare da spareggi con Nazionali europee. Molto poco se confrontato, ad esempio, con i cinque posti totali, tra squadre africane e asiatiche, messi a disposizione dal CIO per la fase finale del torneo di calcio delle Olimpiadi di Tokyo.
A guidare la rivolta fu il già citato Nkrumah, il risultato fu che Algeria, R.A.U., Etiopia, Gabon, Ghana, Guinea, Camerun, Liberia, Libia, Mali, Marocco, Nigeria, Senegal, Sudan, Tunisia e la Siria, politicamente affine agli egiziani, si ritirarono. A giocarsi il posto per l’Inghilterra rimasero solo Corea del Nord e Australia. Le imprese di Pak Doo Ik e Park Sung Jin in terra d’Albione fecero probabilmente intuire alla FIFA quanto diffuso fosse ormai il calcio; il peso politico di un continente come l’Africa che in certe circostanze si muoveva compatto fecero capire al dirigente del CIO João Havelange qual era la strada da battere per diventare presidente del massimo organismo del calcio mondiale.

Intanto, già per Messico 1970 ecco le squadre asiatiche, oceaniche e la razzista Rhodesia, appena esclusa dalla CAF, contendersi un posto e tredici nazioni africane contendersene un altro. Ad avere l’onore di rappresentare l’Africa al Mondiale, trentasei anni dopo l’Egitto, fu il Marocco. I nordafricani non ebbero molta fortuna, fecero soffrire tanto la Germania Ovest, persero malamente col Perù e pareggiarono 1-1 con la Bulgaria nell’ultimo match, ottenendo, se non altro, il primo punto per una squadra africana in una rassegna iridata. La strada era ormai aperta.

Nell’immagine in evidenza: Germania Ovest-Marocco 2-1, 3/6/1970. I capitani Seeler e Bramous

Puntate precedenti: In principio fu l’Egitto, Sud Africa, no grazie
Puntata successiva:
Ascesa e caduta dello Zaire