British Tales. Storie di football d’oltremanica (1857-1939). 5° puntata: L’assenza britannica ai primi tre Mondiali

The British associations should be free to conduct their affairs
in the way that their long experience has shown to be desiriable
Congresso di Sheffield, Febbraio 1928

L’assenza degli inglesi dalle prime tre edizioni dei Mondiali è solitamente ricondotta alla loro spocchia, al loro senso di superiorità offeso dalla decisione della federazione internazionale di assegnare l’organizzazione della kermesse del 1930 all’Uruguay, tra l’altro, bicampione olimpico in carica.
Fatti alla mano -come dice lo storico Alan Tomlinson- non appena il gioco del calcio cominciò a diffondersi nel mondo, gli inglesi decisero di rimanere a casa. E più che spocchia, questa la potremmo chiamare ottusità, visto che, al momento del ritorno in seno alle competizioni FIFA, avrebbero pagato a caro prezzo l’inattitudine a giocare sfide che contano.

La nazionale del Regno Unito che vince l'oro a Londra 1908

La nazionale del Regno Unito che vince l’oro a Londra 1908

Ho usato la parola ‘ritorno’ a ragione, perché l’Inghilterra era già stata parte della federazione internazionale per una quindicina d’anni, anche se non consecutivi.
La FIFA nasce a Parigi nel 1904 e, come lascia intuire la lingua usata per l’acronimo (Fédération Internationale de Football Association), nessuna delle federazioni fondatrici alberga oltremanica. Tuttavia, già nel 1905, la F.A. inglese vi si affilia e l’anno successivo un vero British, Daniel Burley Woolfall, ne è eletto presidente. Particolare non di poco conto visto che il CIO consegna alla FIFA l’onere di organizzare il torneo olimpico di Londra 1908.
Il calcio ha fatto la sua apparizione sin dalla I Olimpiade (Atene, 1896) ed è stato incluso come disciplina ufficiale a Saint Louis nel 1904 e ai Giochi Intermedi di Atene del 1906. La qualità è stata, però, molto bassa, anche perché a partecipare in tutti i casi sono state squadre di club o rappresentative cittadine. Il torneo del 1908 è, dunque, il primo ad avere una rilevanza internazionale nella storia del giovane sport. A vincere è ufficialmente il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, perché le quattro entità che lo compongono hanno diverse federazioni calcistiche, ma uno stesso comitato olimpico. In realtà a trionfare in finale 2-0 sulla Danimarca è la nazionale inglese amateur. A Stoccolma, quattro anni dopo, si replica: in finale il Regno Unito batte la Danimarca 4-2, ma ancora una volta ci sono solo inglesi nella squadra vincitrice.

Intanto anche la federazione scozzese, quella gallese e l’IFA di Belfast hanno aderito alla FIFA. Lo scoppio della Grande Guerra interrompe, però, quest’idillio. Woolfall muore nell’ottobre 1918 e, alla ripresa delle attività, nessuno riesce a contrastare l’ascesa di Jules Rimet. Se la prima Coppa del Mondo porta il suo nome, un motivo ci sarà: l’allora presidente della federazione francese ha in programma di metter su, nel più breve tempo possibile, un torneo che possa dirsi davvero mondiale, visto che nel 1908 e nel 1912 solo squadre europee si sono contese il titolo olimpico. Un obiettivo che evidentemente non si può perseguire escludendo Austria e Germania perché uscite sconfitte dalla guerra, come richiesto, invece, dai britannici1. Inevitabile, quindi, il primo strappo. Le quattro federazioni d’oltremanica lasciano la FIFA per quattro anni, tra il 1920 e il 1924, quanto basta a Rimet per essere eletto presidente e portare avanti il suo progetto. Al torneo olimpico di Parigi non c’è il Regno Unito, ma ci sono gli Stati Uniti e, soprattutto, c’è l’Uruguay, che vince battendo in finale la Svizzera.

Già, gli uruguaiani, il vero nodo del futuro contendere. Per farli attraversare l’Atlantico, prepararli al meglio e partecipare alle Olimpiadi del 1924, il dirigente del Nacional Montevideo (e dell’Asociación Uruguaya de Fútbol) Atilio Narancio ha ipotecato una casa di sua proprietà. Prima di giungere a Parigi, la celeste ha, però, disputato ben nove amichevoli in poco più di trenta giorni contro le migliori squadre spagnole e il sospetto più che fondato è che questo tour de force sia servito per raggranellare un po’ di soldi per garantirsi il resto della permanenza e il viaggio di ritorno.
Nel torneo olimpico agli uruguayani è andato poi tutto bene, ma Jules Rimet non vuole che queste difficoltà possano in futuro spingere le grandi nazionali a non affrontare trasferte oceaniche per disputare quei tornei di rilevanza mondiale che lui ha in mente di metter su. Così, fa approvare al congresso della FIFA del 1925 una delibera che introduce il broken time payment: ogni federazione nazionale può, di sua libera iniziativa, corrispondere ai giocatori impegnati nei grandi tornei una specie di salario che li ricompensi del tempo speso per giocare e non solo delle spese affrontate per alloggio e spostamenti. È uno schiaffo in faccia alla pretesa amatorialità delle Olimpiadi e, quando nel 1927 viene sancita l’applicabilità di questa regola in occasione del torneo olimpico di Amsterdam dell’anno seguente, le federazioni di Austria, Ungheria e Cecoslovacchia decidono di non presentare la propria Nazionale. Le britanniche, come sempre, vanno ben oltre: a Sheffield, nel febbraio successivo, decidono di ritirarsi di comune accordo dalla FIFA e comunicano che si riterranno libere di condurre i loro affari nel modo in cui la loro lunga esperienza ha mostrato essere auspicabile.
E quando Gaetjens e Zarra sconfiggeranno l’Inghilterra al Mondiale brasiliano del 1950 qualcuno forse metterà in dubbio il concetto di lunga esperienza2.

federico

Nella foto in evidenza: D.B. Woolfall e Jules Rimet

Per approfondimenti:
M. Taylor, The Association Game: A History of British Football cfr. British and International football in cap. 3, Football between wars 1914-39
A. Tomlinson, FIFA,The Men, the Myths and the Money, 2014
I. Moreno, Ráfaga olímpica, in Cuadernos de Fútbol, nº 33

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