Ci sono essenzialmente due motivi di carattere statistico per ripescare dagli annali il campionato 1972/73, hanno entrambi a che fare con i gol, ma in modo diametralmente opposto. Il primo, se vogliamo, è quello meno sorprendente: sembra abbastanza normale che la stagione di Serie A con la più bassa media di gol a partita vada cercata in quel lungo periodo in cui il calcio italiano è stato innanzitutto “prima non prenderle”. E l’annata in questione, in fondo, risulta la peggiore solo di una incollatura: 449 reti in 240 incontri, contro le 452 del 1979/80, le 455 del 1978/79 o le 459 del 1980/81 nello stesso numero di match. Certo, 1.871 reti a partita sono davvero poche a pensarle oggi che addirittura si viaggia intorno alle tre segnature di media. In pratica, nel 45% degli incontri non venne realizzato più di un gol e una squadra come la Lazio, che lottò per lo scudetto fino all’ultima giornata, andò in rete appena 33 volte in 30 giornate.
La stranezza è che, però, in mezzo a tante partite finite a reti inviolate o decise dal golletto di ordinanza, ce ne fu una in cui si abbondò così tanto che rimane a tutt’oggi il match di Serie A che ha fatto registrare più gol nei suoi 90′ di gioco: Milan-Atalanta del 15 ottobre 1972[1]. Quel giorno a San Siro i padroni di casa andarono a segno nove volte, gli ospiti tre, per un totale di dodici gol ripartiti in modo piuttosto organico: 4-1 nel primo tempo, 8-2 a pochi minuti dal termine e poi un gol ciascuno in Zona Cesarini. Da rimarcare le tre reti di Pierino Prati, che ebbe anche il merito di sbloccare il risultato al quarto d’ora; Bigon ne fece due, altrettante Rivera. A un certo punto il portiere dei nerazzurri Pianta era così stanco di raccogliere palloni dal fondo della rete che chiese di farsi sostituire dopo il gol del 7-2. In modo che nella restante mezzora il collega Grassi ne potesse raccogliere qualcuno anche lui.
Come sottolineò l’inviato della Gazzetta Franco Mentana[2], al di là di chi e quanto segnò, la vera chiave di volta furono i lanci in profondità del “Golden Boy” Rivera e di Benetti, perché permisero ai milanisti di saltare il folto e inutile centrocampo degli atalantini. E agli occhi del cronista della rosea dovette sembrare un abominio, una sorta di abiura del sacro dogma del gioco all’italiana, il fatto che «Persi per persi, gli atalantini hanno voluto affogare». Per lui un 4-0 o un 5-0 era meglio che prenderne nove in una partita giocata a viso aperto che portò, comunque, gli ospiti a segnare tre gol. Del resto, nell’articolo non si lesinavano critiche anche alla difesa del Milan…
Se, però, siamo tutti d’accordo che godersi da spettatori disinteressati un 9-3 deve essere divertente, in fondo quello che sarebbe avvenuto all’ultima giornata di quel campionato avrebbe dato ragione a Mentana senior: il Milan che si fa bucare cinque volte dal Verona e perde lo scudetto a vantaggio della Juventus; l’Atalanta che cede 0-1 in casa al L.R.Vicenza e retrocede per la peggior differenza reti nei confronti di Roma, Sampdoria e proprio dei biancorossi veneti[3].
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[1] Si parla di record per la Serie A (campionati a girone unico dal 1929/30 in poi) e non di record assoluto per la massima serie nazionale. Se consideriamo, infatti, anche i tre campionati di Divisione Nazionale (1926/27, 1927/28 e 1928/29) disputati successivamente alla stesura della Carta di Viareggio, vero crocevia nella storia del calcio italiano, il primato spetta a un Torino-Reggiana 14-0, giocata il 5 febbraio 1928 e valida per la 7° giornata di ritorno del girone A. Curiosità: a Reggio Emilia, all’andata era finita 3-8 per i granata ospiti per un totale di 25 reti segnate in 180′!
[2] Nessuna omonimia. Era il padre di Enrico
[3] Le quattro squadre chiudono tutte a 24 punti; la Roma con 23 gol fatti e 28 subiti, la Sampdoria con 16 gol fatti e 25 subiti, il L.R.Vicenza con 15 gol fatti e 31 subiti, l’Atalanta con 16 gol fatti e 33 subiti. Con il senno di poi uno, due gol in meno presi in casa del Milan potevano, quindi, essere decisivi