Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco. 10° puntata: Rimonte in Champions 2017-2018

Quando il Barcellona nel marzo del 2017 compì quella che è ormai passata alla storia come la remuntada, qualcosa ci spinse a non aggiungere immediatamente un nuovo capitolo alla saga dedicata alle grandi rimonte. Eppure nella storia delle coppe europee una squadra in grado di sovvertire l’esito di una qualificazione dopo aver perso 4-0 in trasferta l’andata non c’era mai stata. A distanza di tredici mesi abbiamo capito il perché di cotanta freddezza e allora abbiamo deciso di colmare quella antica lacuna, provando a spiegare al tempo stesso cosa ci possa essere di più eccezionale.

Ottavi di Champions League 2016/17. Dopo l’andata, il discorso qualificazione sembra chiuso, perché al Parco dei Principi il Paris Saint Germain ha travolto il Barcellona grazie a una prestazione superlativa e ai gol di Di Maria, Draxler, di nuovo Di Maria e Cavani. L’unica cosa che lascia aperte le speranze dei catalani è il passato, ovvero l'”esperienza”, e qualcosa che chiameremo “blasone” e che vedremo cosa comporta. Il Barcellona è, infatti, abituata alle partite che contano e ha vinto la coppa ben quattro volte tra il 2006 e il 2015. Il Paris Saint Germain ha come miglior risultato una semifinale raggiunta nel 1995 e nella gestione Al-Khelaifi, nonostante le centinaia di milioni spesi, non è mai andato oltre i quarti. Per di più nelle sfide dentro o fuori contro i catalani ha sempre perso (quarti 2013 e 2015).
Morale, al Camp Nou vanno in scena tre partite, ma alla fine passa il Barça. Nei primi 50-60 minuti i padroni di casa partono a spron battuto e approfittano di gambe molli e confusione altrui. Suarez segna subito, poi arriva un’autorete di Kurzawa al 40′ e un rigore di Messi a inizio ripresa, che quando serve ci sta sempre bene. Conti alla mano i francesi sono comunque ancora in vantaggio e, trascinati da Cavani, cominciano finalmente a sfruttare le praterie che il Barça ora più stanco concede: arriva un palo, un gol e un’occasione divorata da Di Maria che avrebbe potuto chiudere il discorso. All’87’ il risultato è ancora 3-1, quando l’esperienza e il blasone di cui sopra scompaginano tutto. Neymar segna il 4-1 su punizione, il gioco riprende e i francesi perdono subito palla, lancio lungo e Suarez in corsa, toccato leggermente da Marquinhos, si butta a terra in area. Per l’arbitro tedesco Aytekin è di nuovo rigore e Neymar fa 5-1. Il gol di Sergi Roberto in mischia al sesto minuto di recupero è la ciliegina che completa la rimonta e segna la vittoria del più forte che ha dato tantissimo vantaggio all’avversario, poi lo ha ripreso e passato sfruttando al meglio tutti, ma proprio tutti i mezzi a disposizione. Come faceva il Real Madrid a metà anni ottanta in Coppa UEFA.[1]

10 aprile 2018, di mezzo ci sono di nuovo i catalani. Vestono sempre i panni del più forte, ma stavolta partono hanno il risultato dell’andata dalla loro parte. Al Camp Nou la Roma ha perso 4-1 con un mix di cuore gettato oltre l’ostacolo, episodi sfortunati -leggi autoreti di De Rossi e Manolas- e dell’inevitabile scontro col blasone -leggi spinta in area di Semedo su Edin Džeko sullo 0-0 che al contrario sarebbe stato un penal claro. Anche per questo all’Olimpico è attesa una Roma che non si dia per vinta e, in effetti, al 5′ Džeko su lancio di De Rossi segna l’1-0 riaprendo subito il discorso qualificazione. Che, però, la serata che attende tifosi e appassionati sarà eccezionale, nel senso di non consueta, lo si comincia a capire nel corso del primo tempo e non perché i giallorossi travolgano sin da subito gli avversari, ma per l’esatto contrario.
Dopo il vantaggio, infatti, Eusebio Di Francesco dalla panchina comincia a predicare la calma: ha capito che con il cambio modulo effettuato rispetto all’andata, le due punte davanti e il centrocampo a cinque, la sua Roma sta facendo pian piano uscire dal gioco Messi e compagni. Il suo collega Valverde forse non si rende conto di quanto sta accadendo, incassa a inizio ripresa il 2-0 su rigore di De Rossi (fallo di Piqué su Džeko lanciato di nuovo in profondità e difensore che andava espulso e non solo ammonito, ma non importa) e continua a non effettuare cambi, disponendosi a difendere il vantaggio ormai esiguo e destinando il suo Barcellona pieno di stelle a prendere il terzo e decisivo gol di Manolas su angolo di Ünder a dieci minuti dallo scadere.
La reazione tardiva e veemente che segue ha le sembianze di Ousmane Dembélé che appena gettato in campo rischia di beffare Allison con un pallonetto dalla tre quarti. L’Olimpico è, però, destinato a vedere i propri benamini arrivare in fondo a questa impresa: la più debole ha rimontato sulla più forte e, invece di farlo mostrando i muscoli sin dall’inizio, lo ha fatto con intelligenza, astuzia e calma. Una cosa decisamente fuori dal comune.

Certo, è strano pensare che tale eccezionalità abbia rischiato di esser oscurata il giorno dopo da un ribaltamento ancor più incredibile. Infatti, un’altra italiana, la Juventus, è andata vicino a portare ai supplementari il Real Madrid dopo aver perso in casa 0-3 l’andata. Poi l’arbitro inglese Oliver in pieno recupero ha deciso di assegnare il rigore per un contatto Benatia-Lucas Vazquez quantomeno dubbio e, quindi, non meritevole di decidere una sfida così ricca di pathos. Questione di blasone e di esperienza…

federico

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[1] Prima della “remuntada” la storia delle coppe europee conta pochissime rimonte riuscite a squadre sconfitte con quattro gol di scarto dalla partita di andata:
Coppa delle Coppe 1961/62, 1° turno, Le Chaux de Fonds-Leixões 6-2, 0-5
Coppa delle Fiere 1962/63, 8vi, Valencia-Dumferline 4-0, 2-6; spar.: Valencia-Dumferline 1-0
Coppa UEFA 1984/85, 2° turno, Queens Park Rangers-Partizan Belgrado 6-2, 0-4
Coppa UEFA 1985/86, 8vi, Borussia Mönchengladbach-Real Madrid 5-1, 0-4
Da notare che nei primi anni Sessanta la regola dei gol in trasferta non esisteva ancora: da qui la necessità di spareggio tra Valencia e Dumferline; da qui l’idea che l’impresa dei portoghesi del Leixões sia l’unica paragonabile a quella del Barcellona.