Il primo scontro diretto nella storia del calcio italiano a essere deciso dalla “lotteria dei rigori” fu una interminabile Mestrina-Treviso valida per il primo turno di Coppa Italia 1958/59. 232 minuti di gioco non bastarono, infatti, a decidere quale delle due compagini di Serie C avrebbe dovuto perdere di lì a qualche giorno contro il Venezia, squadra di B ammessa direttamente al turno successivo.
Tutto era iniziato il 31 agosto. Dopo novanta minuti a reti inviolate, gli ospiti erano passati in vantaggio al quarto del primo tempo supplementare, ma al 112′, a soli otto minuti dalla fine, l’arbitro Samani di Trieste aveva sospeso il match per sopraggiunta oscurità. Così, tre giorni dopo, le squadre si ritrovarono sempre a Mestre, stavolta agli ordini del signor Gambarotta di Genova, forse qualche ora prima. Perché anche in questa occasione si arrivò ai supplementari e oltre: ai gol di Forin e Nichele per i padroni di casa nel primo tempo rispose Trinca con una doppietta a inizio ripresa; il 2-2 non cambiò nei trenta minuti extra; poi, dal dischetto il terzino del Treviso Corradi segno cinque dei suoi sei rigori e fu più preciso di Forin (0 su 1) e di Callegari (4 su 5)[1].
Qualcosa non vi torna? E già: la sequenza dei tiri dagli undici metri, al momento della sua introduzione come strumento per decidere le sorti di un incontro a eliminazione diretta in caso di parità, aveva due regole diverse da quelle cui oggi siamo abituati. Anzi almeno tre.

Innanzitutto, niente lista dei rigoristi da compilare da parte del tecnico, con tutti i problemi o le sorprese del caso: il giocatore designato era di solito uno solo e veniva magari  sostituito in caso di errore. Come evidentemente fece la Mestrina con Forin, dopo che il primo tiro dal dischetto calciato da quest’ultimo era finito sul palo. I penalty, poi, erano sei, non cinque, e non si andava a oltranza. A fugarci i dubbi è uno dei quarti di finale giocati nel corso dell’edizione successiva della coppa nazionale. Il 6 aprile 1960, Atalanta e Juventus terminarono 2-2 sia i tempi regolamentari che quelli supplementari e poi videro, rispettivamente, Rino Marchesi e Antonio Montico realizzare tutti i sei rigori a disposizione. Vista la persistente parità intervenne la fatidica monetina, che sancì la vittoria bianconera. Un finale amaro dal punto di vista strettamente sportivo per una bella partita, che fece scrivere ad Angelo Rovelli sulla Gazzetta:

È mancato solo il tiro alla fune, l’albero della cuccagna e il mercante in fiera. Eppoi con le telecamere presenti si sarebbe esaltato pure a Bergamo «Campanile Sera»[2]

In realtà, a leggere bene punteggi e cronache un’altra piccola differenza c’era: i sei penalty per parte venivano sempre battuti, anche quando il vincitore era già deciso. Come ci assicura indirettamente l’inviato della Gazzetta che per Modena-Brescia, primo turno di Coppa Italia 1959/60, parlò di «dodici rigori […] battuti che è già sera inoltrata» e di un conto finale che diceva 4-2 per gli emiliani padroni di casa[3].

Il sorteggio in caso di parità fu parzialmente reintrodotto nelle edizioni successive. Capitò così che nella stagione 1962/63 si utilizzò la monetina per dirimere la questione qualificazione in Triestina-Torino e in Lucchese-Mantova al primo turno e si ricorse, invece, ai tiri di rigore agli ottavi. Curiosamente, anche qui invischiate Torino e Lucchese, con granata vincenti a Bologna e rossoneri toscani sconfitti a Verona.
Ma niente di preoccupante. Quando tra il 1969/70 e il 1970/71, nel breve volgere di due stagioni, le coppe nazionali di Spagna, Francia e Germania e persino la Coppa dei Campioni cedettero alla tentazione di inserire i tiri di rigore per evitare la poca sportività del sorteggio e le difficoltà generate dai replay o dagli spareggi in campo neutro, la Coppa Italia poteva già vantare una decina di anni di esperienza in materia. Anche se con delle regole tutte sue.
La vera domanda a cui, però, ci stiamo sottraendo sin dall’inizio è un’altra. Fu, dunque, della Lega Calcio l’invenzione dei tiri di rigore? La risposta è sicuramente no. Perché sin dal 1952 nella Coppa Maresciallo Tito, in Jugoslavia, si faceva ricorso a questa procedura. Quanti rigori per parte e con quali regole, cercheremo di capirlo.

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[1] Vennero battuti i tiri di rigore anche al termine di due partite di classificazione valide per l’edizione precedente della Coppa Italia. Questi due match, Juventus-Bologna e Padova-Marzotto Valdagno, furono, però, disputate dopo Mestrina-Treviso
[2] Programma della Rai andato in onda dal 1959 al 1962. Era un quiz con due paesi in gara, uno del Nord, uno del Sud. Alle domande venivano abbinate prove atletiche
[3] Per convincersi che – almeno – l’ultimo rigore fu ininfluente ai fini del passaggio del turno: se era il Brescia a batterlo, il risultato era 4-1 o 4-2 per il Modena e, quindi, le rondinelle non potevano più raggiungere i modenesi; se erano questi ultimi a batterlo, allora erano già in vantaggio 4-2 o 3-2 e, quindi, sicuri del successo perché il Brescia aveva finito i tiri a propria disposizione.
Da notare che l’inviato parlò anche di «girandola di battitori da una parte e dall’altra». Evidentemente, era comunque prassi non far tornare sul dischetto chi aveva già commesso degli sbagli