Tra il pubblico che il 15 maggio 1910 all’Arena di Milano assiste al vittorioso esordio della nazionale italiana, c’è anche il delegato della federazione magiara al congresso della F.I.F.A., tenutosi in quei giorni proprio nella città lombarda. A fine partita questi si avvicina al capitano italiano, Franz Calì e, facendo riferimento all’amichevole in programma una decina di giorni dopo in Ungheria, gli dice: «Se a Budapest giocate così, ve ne facciamo sei!»
Non è un modo per intimorire i futuri avversari, ebbri del trionfale 6-2 sui transalpini: il 26 maggio l’Ungheria all’Italia ne segna davvero sei, senza che il risultato sia mai in discussione. Il divario tecnico tra le due nazionali è, infatti, netto. La squadra magiara schiera ben sette degli undici giocatori che con la maglia biancoverde del Ferencváros hanno da poco battuto 2-1 il Barnsley, finalisti di FA Cup a fine aprile e ora in tour europeo.
Tra questi, il portiere Alajos Fritz, vero eroe nella partita contro gli inglesi, e Imre Schlosser, uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio ungherese: tra il 1906 e il 1927, segnerà 475 gol in 388 partite ufficiali, vincerà tredici campionati ungheresi e sette volte la classifica marcatori.
Proprio Schlosser apre le danze intorno alla mezzora contro gli azzurri. Segnano poi Férenc Weisz e, nella ripresa, nuovamente Schlosser, Károly, Dobo e Koródy. Solo sul 6-0, a due minuti dl termine, l’Italia, grazie a Rizzi dell’Ausonia, riesce a segnare il gol della bandiera.
La Gazzetta dello Sport il 27 maggio nasconde il resoconto della partita a pagina 5 e scalda i motori per iniziare a disquisire della formazione italiana, anche se è la stessa esaltata al termine del match vittorioso contro la Francia.
La sconfitta sembra difficile da digerire, ma, oltre al valore degli avversari, i giocatori italiani hanno una serie di attenuanti: l’emozione di giocare davanti a 15000 spettatori -quando a Milano, Torino o Genova ce ne sono al massimo qualche migliaio, la difficoltà di adattarsi a un terreno da gioco più lungo di almeno venti metri e, soprattutto, l’atmosfera da scampagnata tra amici che, complice anche l’approssimativa organizzazione della F.I.G.C., i giocatori hanno respirato sin dalla partenza dall’Italia.
Il viaggio d’andata è, infatti, più lungo e travagliato del previsto. La Federazione ha acquistato biglietti per il vaporino Venezia-Fiume, non accorgendosi che il giorno dell’arrivo nel capoluogo veneto non si effettua quel servizio. Non potendo aspettare un intero dì, la delegazione italiana sale sul piroscafo che porta a Trieste e prosegue in treno per Vienna e Budapest. Il problema è che i dirigenti della federazione magiara stanno aspettando gli italiani nella stazione dove hanno il capolinea i treni in partenza da Fiume, mentre Calì e compagni approdano in un’altra. Perdipiù, con notevole ritardo sul previsto. Così giocatori e accompagnatori sono costretti ad attraversare a piedi sotto la neve l’intera città e a barcamenarsi con le indicazioni ricevute per raggiungere l’albergo prenotato.
Anche il materiale in dotazione non è di prima classe. Le camicie bianche con cui gli italiani scendono in campo sono le stesse con cui sono andati a dormire la sera prima, Virginio Fossati è costretto a giocare con degli scarpini in prestito, perché i suoi si son rotti e non ne ha di riserva, e divise sportive fungono anche da abiti nella cena di gala offerta dalla federazione magiara post partita.
A rendere tutto un fiorire di aneddoti ci pensano anche i giocatori stessi. In particolare, Attilio Trerè, difensore del Milan, che ignaro di andare nella patria del salame ungherese, ma ben conscio della non eccessiva disponibilità di liquidi nelle casse federali, decide di acquistare a Milano prima di partire pane, prosciutto e salame in quantità industriale e forse anche uova, vino e formaggio. Tanto da riempirne una valigia, che durante il viaggio è continua preda delle bramosie dei suoi compagni d’avventura e che al ritorno a Milano sarà misteriosamente vuota.
Eppure qualcosa di buono in questa nazionale italiana alle prese con la trasferta-scampagnata in terra d’Ungheria ci deve essere, se è vero che il grande Hugo Meisl, chiamato a fare l’arbitro nella partita di Budapest, incoraggia gli italiani a fine match prevedendo per loro un radioso futuro. Delle due l’una: o gli italiani gli son sembrati così abbattuti da meritare un caldo abbraccio, o il futuro commissario tecnico del Wunderteam ha davvero scorto nel gioco dei futuri azzurri un’ottima base di partenza per quei successi che ben presto sarebbero arrivati. Un altro mistero che si aggiunge a quello del salame di Trerè.
federico
Fonti:
G. Bagnati G. Sconzo, Il primo capitano, Antipodes
Football 1898-1908. L’Età dei Pionieri, Archivio Storico Fondazione Genoa 1893
sotto la neve a fine maggio? che clima c’era in Ungheria?
al di là di questo, che considero un banale errore , voglio complimentarmi con tutta la redazione
vi seguo ormai da qualche anno e siete diventati , per me, un punto fermo per apprendere notizie storiche sul mondo del pallone
Salve. Neve a maggio, anche se a Budapest, suona un po’ strano. Ad ogni modo, a suo tempo prendemmo il particolare dal libro di Bagnati-Sconzo citato tra le fonti.
La Gazzetta del 25 maggio non parla della trasferta della Nazionale perché troppo impegnata con il Giro d’Italia. Nell’edizione del 27 maggio c’è la cronaca del match, ma nessuna informazione sul tempo atmosferico