Napoleone provava una sensazione penosa, simile alla sensazione che prova un giocatore sempre fortunato, che getta via pazzamente i suoi soldi e vince sempre e, proprio quando ha calcolato tutte le probabilità del gioco, sente che quanto più la mossa sarà meditata, tanto più sicuramente perderà.
Lev Nikolaevič Tolstoj
La Francia che si presenta ai nastri di partenza al Mondiale di Svizzera nel 1954 è reduce da un ritiro che ai giocatori è sembrato una vacanza. L’attaccante Léon Glovacki è ingrassato di sei chili in due settimane e pare che, sul giro di campo, il massaggiatore sconfigga regolarmente molti dei giocatori. A una preparazione atletica precaria segue l’inevitabile eliminazione: la Jugoslavia batte i galletti 1-0 e rende inutile la successiva vittoria con il Messico. La stampa francese si scatena e prende di mira quella che sarebbe dovuta essere la stella, il ventitreenne di origine polacca Raymond Kopa. I sobri giornalisti gli urlano contro «Tornatene in miniera!», in cuor loro forse sollevati dal non dover ringraziare uno “straniero” per i successi dei bleus. Le cose per fortuna andranno diversamente.
Kopa, che all’anagrafe si chiama Kopaszewski, è nato a Nœux-les-Mines nel 1931. I suoi genitori vi erano giunti a seguito di un accordo che consentiva ai minatori della neonata Polonia di lavorare legalmente sul territorio francese. Il ragazzo in miniera c’è stato per davvero e, a tredici anni, in un incidente ha perso il dito di una mano. Rimessosi, ha anche provato a proporsi come elettricista, ma evidentemente quel trattato consentiva ai polacchi solo di essere minatori. O tuttalpiù calciatori. Per i ragazzini che popolano le periferie di Lens, Lille e della stessa Nœux il football, infatti, è il principale passatempo, ma anche l’unica via per non rimanere a vita confinati nel sottosuolo. D’altro canto le tensioni di classe non mancano e, quindi, le grandi compagnie hanno interesse a far affezionare lavoratori (e rispettivi familiari) ai club locali, come spiega Marion Fontaine, in un saggio sulla storia del Racing Club de Lens.
Che qualcuno dei ragazzi arrivi poi in Prima Divisione o addirittura in Nazionale è una conseguenza di questi due fattori. Non a caso l’epoca di Kopa in bleu sarà anche quella dei vari Ruminski, Bieganski, Cisowski, Wisnieski e del già citato Glovacki.
La strada che Raymond percorre è comunque lunga, dato che la squadra di Nœux-les-Mines non è certo quanto di meglio si possa sperare per allontanare definitivamente lo spettro della miniera. La prima vera occasione per sfruttare le proprie capacità arriva nel 1949. A Lille il ragazzo supera un concorso per giovani calciatori riservato alla regione Nord-Pas-de-Calais, nella finale di Parigi si classifica al secondo posto e questo gli vale il primo contratto da professionista con l’Angers, squadra di Seconda Divisione.
Piccolo di statura e leggerino, Kopa ama danzare con la palla, partire in velocità dalla destra e dribblare gli avversari o lanciare i compagni, perché preferisce far segnare che far gol. Un talento naturale che sarà difficile ingabbiare in uno schema ben preciso, pensano in molti. Ma è proprio per questo che nel settembre 1951, dopo a-verlo visto all’opera in un’amichevole, l’allenatore dello Stade Reims, Albert Batteux, lo porta con sé.
Kopa si fa un anno di gavetta, poi nella stagione 1952/53 Batteux lo promuove titolare e gli modella intorno una squadra abituata a divertirsi, ma anche a vincere. Del resto lo Stade, un po’ per le ditte che lo sostengono economicamente, un po’ per il suo modo di giocare, è sinonimo in tutta Francia di “football champagne”.
Con Kopa in regia arrivano due campionati (1953 e 1955) e la prestigiosa Coppa Latina nel 1953. Il sogno di vincere la prima edizione della Coppa dei Campioni si arena, invece, all’ultimo ostacolo. Il giorno della finale Raymond è infortunato e non dovrebbe giocare, ma Batteux lo manda in campo lo stesso, perché nel frattempo un po’ di cose sono successe.
Innanzitutto, è accaduto che la federazione francese, invece di seguire i “suggerimenti” dei giornalisti e di rimandare Kopa in miniera dopo i fallimentari Mondiali del 1954, ha dato ad Albert Batteux le redini della Nazionale. E i risultati si vedono da subito. Il 17 marzo 1955 a Madrid i bleus ottengono la prima vittoria in terra spagnola. Dopo il gol iniziale di Gaínza, Batteux sposta Kopa al centro e cambia le sorti del match. Raymond segna subito il gol del pareggio, poi regala l’assist a Vincent per il definitivo 1-2. Desmond Hackett, giornalista del Daily Express, è il più estasiato di fronte a quel piccolo francese di origine polacca e gli cuce addosso il soprannome che lo accompagnerà per sempre: il Napoleone del calcio.
Ma quel giorno a Madrid Raymond si cuce idealmente addosso anche la maglia delle merengues. Santiago Bernabéu sta assemblando il suo giocattolino che dominerà in Europa per cinque stagioni di fila e non si accontenta di Di Stefano, Rial e Gento: vuole una multinazionale del pallone e ha i soldi per farlo. Il Real Madrid propone a Kopa un ingaggio che è dieci volte maggiore di quello da lui percepito a Reims e nei primi mesi del 1956 ne ottiene la firma. Lo Stade, intanto, in Coppa dei Campioni batte il Vörös Lobogó di Hidegkuti e gli scozzesi dell’Hibernians, qualificandosi per la finale dove lo attende proprio il Real Madrid.
Kopa e Batteux si ritrovano, quindi, in una situazione simile a quella vissuta da Götze e Klopp alla vigilia della finale di Champions League del 2013. Klopp lascerà la sua stella in tribuna e, pur giocando bene, il suo Borussia Dortmund perderà. Batteux, invece, manda Raymond in campo sperando che i suoi guizzi regalino allo Stade Reims la coppa e allontanino ogni possibile polemica giornalistica, ma il risultato è lo stesso. Il Real Madrid vince 4-3 grazie a un gol di Rial a pochi minuti dal termine, mentre le speranze dei francesi si infrangono su una traversa colta da Templin a tempo quasi scaduto.
Le merengues si portano a casa coppa e Kopa, ma l’acquisto si rivela ben presto per quel che è: uno sfizio da sceicco del Qatar ante litteram più che una reale necessità del patron Bernabéu. In quel Real, infatti, è Di Stefano che decide come ci si allena e come i suoi compagni devono smistare il gioco, ovvero più a sinistra dove gioca Gento che a destra dove è dirottato Kopa. Le cose migliorano comunque col tempo e, in tre anni a Madrid, allori e conquiste arrivano lo stesso: tre Coppe dei Campioni (quella del 1959 in finale proprio contro lo Stade Reims), un’altra Coppa Latina e due vittorie nella Liga, ma il vero Raymond Kopa lo mette in mostra ancora una volta Albert Batteux.
Il trasferimento in Spagna aveva allontanato Kopa il “mercenario” dalla Nazionale, ma Batteux non sente ragioni e lo convoca per la fase finale dei Mondiali di Svezia. Con lui tante facce conosciute e una nuova, Just Fontaine, che lo Stade Reims ha acquistato proprio l’anno in cui lui Raymond è andato via. A Just piace segnare, a Kopa piace dribblare tutti, andare in velocità e fare assist: i due si trovano alla perfezione e la Francia ringrazia.
I galletti sono protagonisti di un gran Mondiale e segnano addirittura 23 gol in sole sei partite (Fontaine da solo ne fa 13!). Due i passaggi a vuoto, uno ininfluente contro la bestia nera Jugoslavia, uno decisivo in semifinale contro il Brasile di Didì, Vavà, Garrincha, Gilmar e del giovane Pelé.
Il risultato finale dice 5-2, ma è un po’ bugiardo, perché, dopo il vantaggio siglato da Vavà e il pareggio di Fontaine (su lancio di Kopa), il difensore Thierry Jonquet si rompe il perone a seguito di uno scontro fortuito con Vavà. Le sostituzioni non le hanno ancora inventate e i galletti sono costretti all’inferiorità numerica. I brasiliani ne approfittano e segnano con un gol di Didì e tre di Pelé, prima che Rogér Piantoni, un altro figlio dell’immigrazione -stavolta italiana- non riduca le distanze.
In quattro giorni i francesi ritrovano la loro verve e travolgono 6-3 nella finalina la Germania Ovest. Fontaine fa quattro gol, Raymond Kopa inventa assist e tocchi deliziosi e si guadagna a fine anno il Pallone d’Oro.
Per il francese il 1958 rappresenta anche l’apice della sua vita imprenditoriale, come mostra il documentario Les Années Kopa realizzato da Olivier Hennegrave. Precorrendo i tempi, Kopa ha capito che immagine e nome sono un capitale umano da sfruttare e, perciò, ha messo su sin dal 1954 un gruppo industriale, cui i denari percepiti a Madrid hanno dato grossa linfa. La grande prestazione offerta al Mondiale svedese garantisce una ricaduta economica notevole al gruppo Kopa, che ormai produce palloni, indumenti sportivi, impermeabili e persino bibite. Il futuro è assicurato, anche perché, a partire dal 1959, anno del ritorno allo Stade Reims, a Raymond le cose cominciano a non andare sempre per il verso giusto. Arrivano sì altri due campionati (1960 e 1962), ma anche una serie di infortuni alla caviglia che impediscono a lui e alla Francia di ben figurare nel 1960 alla prima Coppa Henri Delaunay.
La morte del figlio e la destituzione di Batteux nel giugno 1963 chiudono un ciclo. C’è tempo, però, per un’ultima battaglia legata al calcio. A uno che ha saputo costruirsi una carriera e mettere a valore la sua stessa immagine, la caparbietà e la convinzione certo non mancano. Kopa le dirige stavolta contro la sua federazione e, dall’alto della sua visibilità, attacca a fondo lo status dei giocatori professionisti, denunciando la loro situazione di schiavi dei dirigenti delle società che ne gestiscono a piacimento i loro cartellini. Arriva anche una squalifica di sei mesi, ma già nel 1968 la federazione si muoverà nel verso delle richieste fatte da Kopa e introdurrà i contratti a tempo determinato.
Al francese figlio di minatori polacchi rimane il tempo per scendere in Seconda Divisione con quello che resta dello Stade Reims, sbattere in faccia le porte alla Nazionale (e prendersi una squalifica anche per questo), prima di lasciare il calcio giocato e dedicarsi a tempo pieno alle sue aziende. Una tranquilla Sant’Elena per il Napoleone del calcio, che non ebbe mai la sua Waterloo.
Raymond Kopa è morto il 3 marzo 2017, a 85 anni