Qualche tempo fa scrivemmo di quanto non fossimo per nulla stupiti dell’ascesa del Belgio. Ora parliamo di una delle nazionali partite favorite per la vittoria finale a Euro 2016, che un anno fa era in cima alla classifica FIFA, per quanto valga. Un’ascesa, sulla carta (appunto), inarrestabile, che ha creato enormi aspettative intorno all’undici di Wilmots. Troppe. La squadra è giovanissima, certo, e avrà modo di raggiungere risultati concreti, ma il tracollo contro il Galles, e l’Europeo francese in generale, hanno rivelato qualcosa in più rispetto alla corrispondenza tra hype e realtà.

gol.robsonkanu.galles.belgio.euro2016.750x450Dopo la netta sconfitta nella gara d’esordio, si è parlato più di meriti dell’Italia che non di lacune dei Diavoli Rossi, ma già si poteva capire che qualcosa scricchiolava. Il reparto difensivo, pur prevedibilmente indebolito dall’assenza di Kompany, è sembrato disordinato e inefficace, soprattutto sulle fasce. Già, i terzini, il primo grande problema saltato all’occhio. Il Belgio alla fine è arrivato a giocarsi i quarti senza Vertonghen, infortunato, e Vermaelen, squalificato; non Baresi e Beckenbauer, certo, ma almeno un minimo di garanzie le avrebbero offerte. Al netto dell’oggettiva sfortuna, però, non ci aspettavamo che i loro rimpiazzi, Jordan Lukaku e Denayer, potessero essere le piaghe d’Egitto, disastrosi sia come posizionamenti che sull’uno contro uno. Ma può essere questo il problema principale di questo Belgio? Due ragazzini poco più che ventenni che si ritrovano loro malgrado ad avere sulle spalle le sorti di una favorita per la vittoria finale? No, di sicuro. La questione è più ampia.

Hazard, De Bruyne, Witsel, Nainggolan, Mertens, Ferreira-Carrasco, Fellaini. Vale la pena ricordare questi nomi per due motivi: per ribadire quanto questa squadra tra centrocampisti, trequartisti e mezze punte, possa vantare una corazzata da fantacalcio, giustificando in qualche modo il suddetto hype. In secondo luogo, per renderci conto del potenziale sovraffollamento in alcune zone del campo, da far preoccupare Thomas Malthus.
A conferma di quanto le squadre di club condizionino le nazionali, come abbiamo recentemente detto, il ct belga, da demografo più che da allenatore, cerca il più possibile di mettere in campo i giocatori più blasonati, confidando in un equilibrio che prima o poi si troverà. Eh no, non funziona così. Magari sbagliamo, ma l’impressione è che Wilmots si sia orientato verso un laissez faire, scommettendo sulle individualità. Ad esempio incaponendosi su Romelu Lukaku come terminale offensivo di questo forzato 4-2-3-1 senza considerare Origi, dimostratosi invece molto più adatto al modulo o, cosa ancor più grave, non contemplando un altro assetto in cui i due potessero convivere e in cui Batshuayi magari si sarebbe inserito in maniera più naturale.

La questione principale, quindi, sembra essere il ct. O meglio, speriamo che lo sia, perché ci sta ancora simpatica questa nazionale multietnica e perché vogliamo sperare non si dimostri terra di eterni trequartisti a cui manca un finalizzatore. Non vogliamo un nuovo Portogallo, insomma.

 

 

daniele