Il Cile ci ha messo novantanove anni per vincere la sua prima Copa América, ma l’evento sembrava dovuto all’eccezionale coincidenza di poter ospitare il torneo nel momento forse migliore della sua intera storia calcistica. Invece, a un anno di distanza, la Roja è riuscita a ripetersi, anche fuori dai confini nazionali, e si è imposta nell’edizione straordinaria, voluta da CONCACAF e CONMEBOL, per festeggiare il centenario del Sudamericano, e giocata negli Stati Uniti.

Ripetersi è forse la parola chiave. L’esito della finale, 0-0 ai supplementari e vittoria ai rigori contro l’Argentina, sembra suggerire l’idea che dalla vittoria del 5 luglio 2015 nello stadio di Santiago del Cile al successo di New York del 26 giugno 2016 non siano passate che poche ore. In realtà, sono state due finali diverse.
In quella del 2015 le due squadre si sono affrontate a viso aperto per almeno un’ora e hanno avuto le loro occasioni di offendere prima di traghettarsi verso i rigori. In questa del 2016 una sola grande emozione, legata a due errori, quello di Medel che ha liberato Higuain e quello dell’attaccante del Napoli che, a tu per tu con Claudio Bravo, ha messo a lato. Il tutto nobilitato, in senso estetico, dal disperato recupero di Medel, che si schiantava contro il palo. Per il resto tanti falli, due espulsioni nel primo tempo -Dias per doppia ammonizione e Rojo per un fallo da dietro su Vidal-, e un arbitro, il brasiliano Herber Lopes che ha fatto il protagonista. Anche al momento decisivo, una differenza c’è stata. Davanti ai propri tifosi, lo scorso anno, i cileni sono stati infallibili, al MetLife Stadium, invece, Arturo Vidal, il calciatore più rappresentativo, ha sbagliato il primo tiro dal dischetto e, se Messi non avesse mandato alle stelle il penalty successivo, staremmo probabilmente qui a parlare d’altro. Nota a margine: non pensiate che altrove non si stia parlando della Pulce… l’annunciato addio alla nazionale dopo l’ennesimo trofeo non vinto monopolizza l’attenzione molto più della seconda vittoria cilena.

C’è un altro motivo per cui la Roja può vedere quest’affermazione non come una mera ripetizione di quella dello scorso anno. Alla sua guida, da gennaio 2016, non c’è più, infatti, Jorge Sampaoli, il tecnico argentino che l’ha fatta diventare una squadra vincente. L’arrivo di Juan Antonio Pizzi ha cambiato qualcosa nella disposizione tattica dei cileni e anche nel gioco. Il Cile di quest’anno ci è sembrato aver rinunciato alla fantasia di Valdivia, in favore di una maggiore aggressività e di maggiore velocità nelle ripartenze. Il 7-0 al Messico nei quarti e il veloce uno-due nei primi minuti che ha steso la Colombia in semifinale sono, innanzitutto, frutto di una buona condizione atletica. Anche a dispetto dell’età dei giocatori.
Confessiamo, però, di non aver potuto seguire questa edizione della coppa con la solerzia della precedente, causa diritti tv e contemporaneo Europeo. E allora, prima di impelagarci in disquisizioni senza troppa cognizione di causa, ricordiamo le altre cose per cui la Copa América Centenario rimarrà negli annali.

2016 mano de adiosLa prima è l’eliminazione del Brasile nella fase a gironi, sconfitto dal Perù con un di Raul Ruidiaz nettamente irregolare. L’arbitro uruguayano Cunha ci ha messo tre minuti prima di prendere una decisione e l’ha presa sbagliata: sul cross di Polo, l’attaccante peruviano tocca di mano e mette dentro.
“La Mano de Adiós”, come ha titolato con non poca ironia il quotidiano argentino Olé.
La seconda riguarda il Venezuela. Brillante vincitore contro l’Uruguay, grazie al suo giocatore migliore, Rondon del West Bromwich Albion, si arena -come previsto- nei quarti contro l’Argentina. Il risultato finale è 4-1, ma sul 2-0 i venezuelani ottengono un rigore. Seijas si presenta sul dischetto, abbozza un cucchiaio e regala la palla al portiere Romero: bellissimo!
Chiudiamo, infine, con l’impietoso raffronto CONCACAF-CONMEBOL. Le due potenze del Nord America hanno ben figurato, ma solo fino a un certo punto. Il Messico, abituale frequentatore della Copa América, anche stavolta non è arrivato in fondo: un bel 3-1 all’Uruguay nella partita iniziale, il primo posto nel girone e poi il tracollo col Cile. Sommersi da quattro reti di Vargas, due di Sanchez e una di Puch, i tifosi messicani hanno dovuto ammainare la speranza di vedere la propria nazionale vincere -quasi- in casa. Gli Stati Uniti hanno fatto un passo in più, hanno saputo reagire alla sconfitta iniziale con la Colombia, arrivata poi terza, hanno battuto l’Ecuador in un combattuto quarto di finale, ma sono stati poi travolti 4-0 dall’Argentina in semifinale. Le altre quattro nazionali CONCACAF non sono andate oltre il primo turno e solo Panama, grazie a una vittoria sulla Bolivia, può dire di averci almeno provato. La differenza con le squadre del Sud America sembra ancora troppa.

Adesso ci saranno due anni di qualificazioni per il Mondiale e le sudamericane torneranno ad affrontarsi in una Copa América “normale” nel 2019. Chissà se fra tre anni il Brasile sarà competitivo o se l’Argentina di Messi -semplicemente, non crediamo nel suo ritiro- alzerà finalmente un trofeo che le manca dal 1993.

federico