Prima o poi doveva accadere che la Germania avesse la meglio sull’Italia in una partita secca valida per Mondiali o Europei. Per tanti motivi.
Perché la Germania è la squadra più titolata e in semifinale ci arriva sempre.
Perché, in fondo, i tedeschi avevano indirettamente fatto fuori gli azzurri in almeno due occasioni: nel 1996, quando lo 0-0 e il rigore sbagliato da Zola avevano sancito l’eliminazione della nazionale di Sacchi dall’Europeo inglese, e nel 1962, quando un altro 0-0, stavolta all’esordio nel girone, aveva consegnato gli azzurri nelle braccia dei padroni di casa del Cile.
Perché il successo sulla Spagna proprio a Euro 2016 aveva fatto capire agli italiani quanto relativo fosse il concetto di “bestia nera”, visto che le furie rosse tra il 1934 e il 1994 ci avevano sempre rimesso incontrando l’Italia e, poi, nel momento di maggior splendore della loro storia calcistica, avevano messo insieme, tra Europei 2008 e Confederations Cup 2013, tre vittorie sugli azzurri in partite dal non ritorno.

Neuer para il rigore di Darmian. Molto peggio dell'esterno hanno fatto Zaza e Pellé

Neuer para il rigore di Darmian. Molto peggio dell’esterno hanno fatto Zaza e Pellé

Non è, però, solo questione statistica. Oltre all’ovvia componente di fortuna legata all’orribile serie di rigori, di cui non parleremo, ci sono, infatti, due fattori psicologici che, a parere nostro, hanno contribuito a far sì che per la prima volta Germania-Italia arrivasse a decidersi dal dischetto e che la prima vittoria tedesca in una partita a eliminazione diretta avvenisse proprio nel quarto di finale giocato a Bordeaux per Euro 2016. Un fattore psicologico per parte.

Il primo riguarda l’Italia, che ha, per così dire, introiettato l’idea che uscire contro i campioni del mondo, ma dopo aver fatto loro sudare le proverbiali sette camicie, era già un successo. Antonio Conte ha fatto un lavoro eccezionale col gruppo che si è portato agli Europei, un gruppo coeso, ma privo di grandi individualità. Conte ha ottenuto prestazioni insperate, alla faccia anche della Lega Calcio, contro cui ha covato per mesi tanto rancore, come dimostrano le sue dichiarazioni a caldo nel post partita di Germania-Italia, e che, alla fine dei conti, è diventata agli occhi di tutti la responsabile del prematuro addio dell’allenatore leccese alla panchina italiana.
Dove questo fattore del “perdere bene è comunque un successo” lo abbiamo visto nel corso del match contro i tedeschi è presto detto: passati in svantaggio e con soli 20′ da giocare, Conte non ha fatto cambi modulo e non ha inserito forze fresche in attacco; ha avuto sì la Fortuna di pareggiare su rigore per un’incredibile ingenuità di Boateng, ma non ha provato a vincere sul campo negli ultimi minuti dei tempi regolamentari, inserendo ad esempio Insigne in un momento in cui la Germania aveva perso fiducia.

2016 italia-germania ozilE veniamo ai tedeschi. Il fattore psicologico che Löw ha saputo questa volta trasmettere ai suoi è stato il rispetto dell’avversario. Dopo aver assistito dalla panchina alle sconfitte di Dortmund nel 2006 e di Varsavia nel 2012, sconfitte prima di tutto nell’approccio tattico e mentale al match e solo dopo materializzatesi sul campo, l’allenatore tedesco ha deciso che era giusto rinunciare a una mezza punta in favore di una difesa a tre, col roccioso Höwedes a destra, una volta tanto non costretto a fare l’esterno. Una virata verso uno schieramento più attento e attendista che si integrava con l’altra scelta fatta dopo le prime due partite dell’Europeo, quella di ripescare Gomez dalla naftalina e di giocare con una punta vera. Se hai un terminale e mezzo davanti (includendo Thomas Müller) a un po’ di dribbling sulle fasce si può, infatti, rinunciare. Non a caso con Gomez in campo e con l’Özil del secondo tempo, finalmente propositivo, la Germania era andata in vantaggio e aveva rischiato più di raddoppiare che di esser raggiunta. Mentre il successivo infortunio dell’ex viola e l’entrata al suo posto di uno spaesato Draxler -che prima punta non è- avevano contribuito alla perdita di fiducia, di cui parlavamo prima.
Insomma, come quella volta a Euro 2008 in cui cambiò volto alla sua Germania prima del quarto di finale contro il Portogallo, Löw ha dimostrato di non essere un selezionatore e basta, ha dimostrato di non essere seduto sulla panchina dei campioni del mondo per caso. Alla faccia di quel quotidiano italiano che, nei giorni precedenti il match di Bordeaux, non ha trovato nulla di meglio che proporre il sondaggio: “Löw si annusa dappertutto: secondo voi è malato?”

federico