In foto: Budapest, 4 maggio 2022. Jacopo Guarnieri al momento della presentazione della sua squadra, la Groupama-FDJ, indossa un polsino con i colori dell’orgoglio trans per protesta contro le politiche messe in atto dal governo ungherese in termini di diritti civili (dalla pagina Instagram diversityincicling_)

Sul traguardo di Visegrad Mathieu Van der Poel conquista la prima maglia rosa del Giro d’Italia 2022. Ora, passi pure che per espandere il mercato e far girare di più il proprio brand, la società che organizza la corsa rosa, la RCS Sport, abbia deciso di appaltare il pacchetto delle prime tre tappe ad altre nazioni negli anni pari, ma non si potevano fare due domande sullo strumento che hanno dato in mano all’Ungheria di Orban, le cui politiche autoritarie e limitanti verso i diritti civili sono ben note?
Non può essere un caso che gli ungheresi abbiano scelto come arrivo per la tappa iniziale la città che dà il nome al gruppo politico formato da Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e, ovviamente, Ungheria. Un gruppo che, di fatto, costituisce un sottoinsieme di paesi della UE, che ha spesso posto veti e seguito direttrici diverse quando a Bruxelles hanno provato a discutere di immigrazione, indipendenza della magistratura dalla politica, diritti LGBT e altre facezie simili.
L’arrivo a Visegrad, tra l’altro, è coinciso con l’ennesima presa di posizione autonoma di Orban in seno all’Unione Europea (stavolta solo lui e non tutto il gruppo). Il leader di Fidesz ha, infatti, dichiarato di voler porre il veto sull’embargo petrolifero alla Russia ed è ormai tacciato di esser diventato una sponda di Putin a Bruxelles. Stona allora davvero tanto che uno degli eventi principe del calendario sportivo italiano abbia concesso una tale visibilità all’Ungheria, se pensiamo quanto, in questi primi due mesi di conflitto russo-ucraino, l’Italia abbia sostenuto a livello internazionale le ragioni del paese invaso e quanto lo sport italiano si sia mobilitato per permettere ad atleti e atlete in fuga dalla guerra di continuare ad allenarsi.

In un mondo in cui lo sport è uno dei principali strumenti di soft power utilizzato da enti internazionali e governi per l’autopromozione di sé e dei propri (dis)valori, l’adagio latino pecunia non olet non può più bastare a giustificare qualsiasi scelta effettuata dagli organizzatori dei grandi eventi. È tuttavia interessante provare a capire quanto è questa “pecunia” che gira intorno alle possibilità di ospitare tappe del Giro e quanto potrebbe aver speso l’Ungheria, paese che ha anche ospitato partite della propria Nazionale in occasione dell’Europeo itinerante del 2021 e che si appresta a organizzare nuovamente il Mondiale FINA di discipline acquatiche a soli cinque anni di distanza.
Spero di non deludere nessuno rivelando che città e comuni italiani pagano per essere sedi di partenza o arrivo di una tappa del Giro d’Italia. Sul sito c’è proprio un form da compilare per candidarsi. Sono, inoltre, ivi spiegati vantaggi a breve e lungo termine; le parole sono sempre le stesse, spesa/occupazione/visibilità/valorizzazione delle eccellenze, ma una vera e propria quantificazione del ritorno di immagine non è semplice (basta vedere questo esempio tratto da una testata on-line di Ravenna che non si espone due anni dopo il transito del Giro). Quello che è certo è che, mentre al Tour de France i costi sono fissi, per il Giro il contributo da versare a RCS Sport varia e può andare dai 30mila ai 200mila euro (Il Sole 24 ore, maggio 2019).
Il percorso della corsa rosa dipende, quindi, da quali comuni abbiano espresso la propria candidatura per l’anno in questione. Dato per assodato la presenza di tutto l’arco alpino, sono gioco forza le regioni centro-meridionali a dover subire un turn-over, fatto magari per accontentare a turno un po’ tutti. Vedi, ad esempio, l’Umbria, protagonista nel 2021, ma assente nel 2022.

Capire quanto versino in più i paesi esteri per ospitare la “Grande Partenza” diventa, dunque, stimolante. L’articolo già citato de Il Sole 24 ore parlava di 6 milioni versati da Israele nel 2018. L’Ungheria doveva ospitare l’avvio della corsa a tappe italiana nel 2020 ed erano uscite solo stime per il costo complessivo dell’operazione: circa 23 milioni di euro, che includevano – con ogni probabilità – il contenuto da versare a RCS Sport. Lo scoppio della pandemia ha fatto posticipare di due anni la trasferta a Budapest e il fatto di aver dovuto ri-organizzare il tutto ha sicuramente influito sui costi (ma tanto Orban ad aprile 2022 ha rivinto le elezioni…). Le dichiarazioni del commissario governativo Máriusz Révész, riportate da insidethegames.biz, fanno, però, presupporre che RCS Sport non abbia alzato il proprio prezzo:

Fortunately the Italian organizers of RCS Sport […] continued the negotiations with greater constructiveness than normal.

Chissà in quante circostanze, quindi, gli organizzatori del Giro 2022 avrebbero potuto forzare la mano e far saltare l’accordo. Invece, tutto è filato come inizialmente preventivato e l’Ungheria ha potuto farsi bella per l’occasione. A proposito, giusto per far capire quanto anche la Rai, broadcaster ufficiale, sia reticente in merito: durante la cronaca della cronometro valida come seconda tappa, la voce culturale del Giro, Fabio Genovesi, ci ha svelato i segreti del salame ungherese, ha magnificato il Flipper Muzeum di Budapest, ma non ha speso alcuna parola per le attuali politiche del governo ungherese.