Il primo tempo è scaduto, la Francia, che negli ultimi minuti è riuscita ad alleggerire l’assedio a cui la Germania l’ha sottoposta, beneficia di un corner che l’arbitro concede di battere, nonostante tempi morti non ve ne siano stati. Palla in area e Schweinsteiger, in scomposta azione difensiva, toglie la palla dalla testa di Evra con la mano. I due sono abbastanza lontani dalla porta e la testata del francese non avrebbe probabilmente fatto male a Neuer, ma sono in area e, quindi, da regolamento è rigore. Griezmann si presenta dal dischetto e segna. Un’azione che rimarca, se ce ne fosse bisogno, quanto in un gioco come il calcio, non caratterizzato da frequenti segnature, la massima punizione diventi uno strumento in grado di influire in modo decisivo su risultato e andamento della partita, perché può trasformare in gol anche un’azione innocua, grazie al fischio del direttore di gara. Non a caso, l’International Board introduce il penalty kick e definisce ruolo e competenze del referee nello stesso anno, il 1891.

Per raccontare la seconda semifinale di Euro 2016 siamo partiti dal momento decisivo, dal rigore, ingenuo ma indiscutibile, che Rizzoli accorda ai padroni di casa francesi e su cui la squadra di Deschamps costruisce la qualificazione alla finale. Siamo partiti da qui, innanzitutto perché, al di là di questo episodio, la direzione dell’arbitro italiano non ci è piaciuta. Rizzoli è sembrato favorire la Francia per come ha fischiato, per dove ha accordato ai bleu le punizioni, per come ha distribuito i cartellini e anche per il modo arrogante con cui ha trattato Kroos, quando a metà primo tempo il centrocampista tedesco è arrivato in area al termine di una bella proiezione offensiva ed è stato affrontato, in maniera quanto meno dubbia, da Umtiti e Pogba.
Più precisamente, Rizzoli non c’è piaciuto nel primo tempo, cioè finché le squadre in campo sono state due. Nella prima mezzora della ripresa, infatti, la Germania non è sembrata all’altezza né della Francia, né di quanto aveva proposto lei stessa nella prima frazione, vuoi per la stanchezza del match contro l’Italia, vuoi per squalifiche e assenze, vuoi per l’infortunio che toglie di mezzo anche un Boateng comunque non al meglio (e apparso incerto in alcune occasioni). Il raddoppio francese -a questo punto meritato- giunge proprio nel momento in cui la difesa tedesca non si è riorganizzata: Kimmich perde palla a ridosso della sua area, Pogba scherza con il neoentrato Mustafi e sul suo cross, deviato da Neuer, interviene Griezmann di piatto e segna.

La sfortuna che nega ai tedeschi, nell’ultima parte del match, persino il gol della bandiera non resta che interpretarla come il necessario epilogo della terza puntata della fiction che sembrano raccontare questi Europei: l’Italia torna a battere la Spagna in una partita che conta a ventidue anni di distanza, poi perde ai rigori contro la Germania; i tedeschi, a loro volta, dopo aver finalmente vinto un match da dentro o fuori con gli azzurri, perdono contro la Francia, che non li batteva in un grande torneo dalla finale per il terzo posto dei Mondiali del 1958. Una fiction il cui titolo non è “Le Bestie Nere”, come ci si attendeva e, per certi versi, si sperava, bensì “Le Tigri di Carta”.

Fernando Santos

Fernando Santos

Adesso ci aspetta Francia-Portogallo, ultimo atto di Euro 2016. E i francesi devono stare attenti, perché hanno già battuto i portoghesi nelle semifinali europee del 1984 e del 2000 (edizioni poi concluse con la vittoria dei galletti) e nella semifinale del Mondiale 2006, hanno vinto gli ultimi dieci confronti, amichevoli incluse, e non perdono da uno 0-2 patito a Colombes nell’aprile del 1975.
Con quest’ultimo anatema il nostro endorsement per il Portogallo, iniziato alla chetichella con gli articoli precedenti, pensa possa considerarsi concluso. Sappiate, comunque, che è solo un modo per rendere meno difficile da digerire una eventuale vittoria della squadra di Cristiano Ronaldo e di Fernando Santos, che, forte della sua esperienza sulla panchina greca, ha mostrato ai suoi connazionali portoghesi come, confinando sulla fascia gli inevitabili trequartisti alla João Mario e riempiendo la zona centrale di persone come Danilo o Adrien Silva, si ottiene sempre un qualcosa che sa di fumo, se non di nulla, un qualcosa che è, però, in grado di portare la squadra avanti nel tabellone.

federico