Putin ordina al suo esercito di entrare in Donbass e poi di prendere la strada per Kiev e a Londra un noto magnate industriale capisce che deve fare presto a liberarsi del club con cui, solo alcuni mesi prima, si è laureato Campione d’Europa. Il balletto messo in scena da Abramovich per non risultare più proprietario, presidente o qualsiasi cosa del Chelsea ha mostrato, se ancora ve ne fosse bisogno, quale legame ormai indissolubile ci sia tra il calcio ad alto livello, l’economia mondiale e la politica internazionale.
E visto che la Premier League è il campionato più bello, più seguito e meglio venduto al mondo, è normale imbattersi in partnership che rappresentano zone diverse del globo, ma spesso la stessa scarsa considerazione dei diritti civili, andando a esaminare chi finanzia le singole società inglesi.

Prendiamo un qualsiasi, innocente Newcastle-Arsenal. La stagione 2021/22 ha rappresentato, per i padroni di casa, l’arrivo di una nuova proprietà, araba, o meglio dal Fondo Sovrano dell’Arabia Saudita. In pratica, la famiglia reale che abbiamo già visto impegnata a far disputare sul proprio territorio le Supercoppe di Italia e di Spagna, con relativi tentativi di dare una ripulita alla propria immagine internazionale. Anche se, a dire il vero, dopo le acque un po’ agitate per l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi (ottobre 2018), avvenuto all’interno dell’ambasciata araba a Istanbul, i sauditi non hanno dovuto affrontare nessun ostracismo a livello internazionale. Persino il loro “impegno” in Yemen non è apertamente osteggiato dagli alleati occidentali, tanto che a inizio marzo 2022 il principe Bin Salman si è potuto lamentare per il non completo appoggio avuto finora da parte dell’amministrazione Biden. Il tutto mentre la stessa comunità internazionale condannava fermamente e senza appello l’operato della Russia putiniana in Ucraina.
Tornando al Newcastle, l’obiettivo della proprietà araba è abbastanza chiaro: voler ricalcare quanto fatto dai vicini Emirati Arabi con il Manchester City e dal Qatar con il Paris Saint Germain. Dal punto di vista dei risultati la prima stagione è andata senza infamia e senza lode: è arrivata una salvezza tranquilla, obiettivo accettabile se consideriamo che a ottobre, al momento del passaggio di proprietà, i Magpies erano in zona retrocessione e non avevano ancora vinto una partita. Su come St. James’ Park si comporterà in futuro influiranno sicuramente gli eventuali traguardi raggiunti. Anche perché qualche problema di dialogo tra i due mondi è stato già riscontrato. Vedi la richiesta formale fatta ai tifosi da parte della nuova dirigenza di non indossare turbanti arabi, che potrebbero risultare “culturally inappropriate” (si era proprio agli inizi, poi hanno capito che sarebbe stato controproducente); vedi anche il kit da trasferta per la stagione 2022/23 che ricorda tanto la maglia che indossava Owairan a USA ’94.

Anche l’Arsenal è “imparentato” con finanziamenti provenienti dalla penisola araba. Dagli Emirati, in particolare. Partnership che è nata nel 2004 e che farà sì (almeno fino al 2028) che lo stadio di casa dei gunners sia noto come Emirates Stadium. Ma non è del main sponsor che vogliamo parlare o della proprietà, che dal 2018 è interamente in mano all’americana Kroenke Sports & Entertainment. Per stavolta diamo spazio alla manica, a quello che, a quanto pare, può essere definito “official tourism partner”.
Se avete incocciato un match dell’Arsenal (cosa più difficile da quando il club non riesce a qualificarsi per la Champions), vi sarà saltata agli occhi la scritta Visit Rwanda appunto sulla manica e da bravi eurocentrici, magari anche un po’ agé, vi sarete chiesti cosa dovreste andare a vedere in un paese che a inizi anni Novanta divenne tragicamente famoso per la guerra civile tra Hutu e Tutsi.
Non siamo in grado di dare risposte dirette in merito alle bellezze del Ruanda, possiamo, però, affermare con certezza che tale sponsorizzazione è in atto dall’agosto del 2018 e che ha previsto finora l’esborso di almeno 30 mln di sterline da parte del governo di Kigali. Ora, guardando al PIL e ad alcune classifiche che si trovano in rete, il Ruanda risulta essere tra i venti paesi più poveri al mondo. Il presidente Paul Kagame, che è al potere dal 2000 e che su twitter commenta spesso i match dell’Arsenal, assicura che i soldi spesi per i gunners tornano indietro grazie ai turisti.
Qualche dubbio a riguardo, anche relativamente alla ricaduta sulla parte meno abbiente della popolazione, immaginiamo sia lecito averlo. Ad ogni modo, nel 2018 la Banca Mondiale ha fatto i complimenti a Kagame per i successi ottenuti. Senza contare la considerazione che il governo ruandese avrà in territorio britannico ora che Boris Johnson sta mettendo a punto una strategia che contribuirà a risolvere il problema dell’immigrazione clandestina, spendendo gli indesiderati direttamente a Kigali e dintorni. Magari con voli della Emirates Airline.