Se qualcuno mi dovesse domandare a bruciapelo, «Sei contento che Demiral si è beccato due giornate dall’UEFA per aver fatto il gesto dei Lupi grigi dopo il suo secondo gol all’Austria?», non avrei dubbi e risponderei di sì. Perché quel gesto è legato a un movimento (o a un partito, l’MHP, fate voi) di estrema destra, sostenitore da sempre di una politica di repressione contro i curdi e, da un po’, stampella insostituibile per Erdogan. E vedere esibito in campo il proprio odio verso chi è diverso, mascherato da amore per la propria nazione (e Nazionale) è una cosa che mi fa schifo.
C’è poi una questione, per così dire, tecnica. Il difensore turco aveva già fatto capire quale fosse la sua prospettiva politica a fine 2019, quando sui social si schierò apertamente a favore dell’offensiva turca contro i curdi (giusto per ricordarlo: gli americani se ne erano appena andati e avevano lasciato in pasto ai turchi lo YPG che aveva resistito per anni allo Stato Islamico). All’epoca Demiral militava nella Juventus, ci fu qualche polemica, ma -giustamente- la sua presa di posizione su twitter non portò conseguenze sul piano sportivo. Eppure, proprio in quel periodo, la sua Turchia venne multata dall’UEFA per aver festeggiato in blocco facendo il saluto militare il gol vittoria sull’Albania nella partita valida per le Qualificazioni a Euro 2020 e Demiral, manco a dirlo, era tra quelli che si erano portati la mano destra alla fronte.
Ergo, uno che di mestiere fa il giocatore, che da anni calca i campi internazionali e nel 2019 ha visto direttamente all’opera contro la sua federazione le politiche della UEFA in merito a festeggiamenti e segnali politici in campo, non può uscirsene con dichiarazioni tipo:
Avevo in mente un modo particolare per celebrare, qualcosa di connesso con la mia identità turca. Sono incredibilmente orgoglioso di essere turco e ho sentito quel sentimento appena dopo aver segnato.
Ovvero, non può pensare che fare di fronte a migliaia di tifosi un gesto che è fuori legge in Francia e Austria (Nazionale contro cui, tra l’altro, stai giocando) potesse essere derubricato a “simbolo dell’orgoglio turco” e non sollevasse le proteste di molti governi. Tra cui quello della ospitante Germania che stima ci siano una ventina di migliaia di afferenti ai Lupi Grigi tra il milione e mezzo di turchi che risiedono in territorio tedesco e che, oltretutto, sta fronteggiando un pericoloso aumento di consensi a un partito di nazisti (l’AfD).
Inoltre, la stessa UEFA, giusto una settimana prima, aveva squalificato per un turno un giocatore albanese (Daku) per aver partecipato a cori offensivi contro serbi e macedoni dopo la conclusione di Croazia-Albania. Quindi, Demiral sapeva a cosa andava incontro e le difese aggressive e/o d’ufficio del presidente Erdogan e della Federazione turca sono strumentali: è un gioco delle parti, di chi, in fondo, è contento di avere un “martire” per il solo fatto di aver mostrato il suo orgoglio turco al mondo.
Sulle dichiarazioni del ct Vincenzo Montella («Non era un gesto politico, c’è stato un fraintendimento. Di sicuro non è una squalifica che frena l’orgoglio turco, anzi viene ancor di più alimentato. Il simbolo era un simbolo di orgoglio turco nel mondo»), glisso. Tanto si sa che in Italia il refrain del calcio-lontano-dalla-politica è ribadito con così tanta convinzione che anche quando si fanno affermazioni di carattere politico si fa finta che non lo siano.
Detto tutto questo, più in profondo, i sentimenti che accompagnano la squalifica di Demiral sono più complessi. La maschera di apoliticità che UEFA, FIFA, Comitato Olimpico e federazioni internazionali varie vogliono imporre ai luoghi in cui si svrolgono gli agoni sportivi è a volte opprimente, è spesso fuori contesto, è quasi sempre ipocrita. Parigi sta per vivere un’Olimpiade a cui molti atleti e atlete russe, che non appartengono a gruppi sportivi militari, non potranno partecipare per aver espresso sostegno pubblicamente o via social all’invasione dell’Ucraina. Ma se sotto Putin non c’è democrazia, siamo proprio sicuri che una persona si può sentire libero/a di criticare o di tacere anche se non vive all’estero, come hanno fatto alcuni tennisti o ciclisti ritenuti idonei ai Giochi? O, rovesciando il punto di vista, che senso ha sbandierare da un anno e più la volontà di non escludere tutti i russi e tutte le russe e poi imporre delle regole restrittive che creano “martiri” alla Demiral? Ad esempio, è notizia di fine giugno che la federazione russa di judo non manderà nessuno a Parigi 2024 perché solo quattro dei diciassette selezionati è eleggibile secondo le regole CIO.
Tra l’altro, i recenti avvenimenti (vittoria di RN, Rassemblement Nationale, alle elezioni europee, scioglimento del Parlamento da parte di Macron e voto immediato) hanno messo in allerta tutte le istituzioni politiche, civili e sportive ed è grande il timore che proteste e manifestazioni di piazza dovute all’instabilità politica si intreccino ai Giochi. Una situazione di incertezza che ha spinto molti giocatori francesi a prendere posizione nel corso delle conferenze ufficiali di Euro 2024, in cui lamentavano innanzitutto l’impossibilità di poter votare.1 Lo hanno fatto prima Ousmane Dembélé e Marcus Thuram, poi la FFF, la federazione nazionale, ha provato a imporre un bavaglio, con il risultato che anche Mbappé ha prima espresso preoccupazione per gli estremisti, poi -dopo il primo turno e in attesa dei ballottaggi- ha invitato via social tutti a votare contro la destra xenofoba. Semplicemente perché lui e i suoi compagni sentono sulla propria pelle -è il caso di dirlo- la paura che la Francia scivoli pericolosamente a destra.
E la cosa che mi opprime è che, con le attuali disposizioni UEFA, se, in campo, dopo un gol o una vittoria, volessero mandare un messaggio anti-RN e, quindi, anti-razzista, rischierebbero di essere puniti così come Demiral.
Nell’immagine in evidenza: Niente Demiral-lupo-grigio, è un’immagine che è girata già troppo. Preferisco ricordare il saluto militare dei turchi nell’ottobre 2019. Demiral ha il numero 3.