Insieme forse è meglio, ovvero Quando assegnare i megaeventi sportivi a più Paesi è necessario (e conveniente): terza puntata. Le assegnazioni congiunte dei Mondiali di calcio

João Havelange era un ex pallanuotista brasiliano che aveva scalato i vertici della FIFA negli anni Settanta del secolo scorso intercettando i desiderata di tante federazioni asiatiche e africane, scontente del ruolo marginale riservato loro da un mondo del pallone governato da europei e attento solo agli interessi dei sudamericani. Fu proprio sotto la lunga presidenza Havelange che si varò l’aumento da 16 a 24 e poi quello da 24 a 32 del numero di squadre partecipanti alla fase finale di un Mondiale, allargamenti che hanno consentito una presenza via via più massiccia delle squadre affiliate alla CAF o alla AFC. E fu sotto la sua presidenza che si diede vita al progetto di organizzare per la prima volta una Coppa del Mondo fuori da Europa o America. La coppa era quella del 2002, la decisione su chi dovesse organizzarla era fissata per maggio 1996, quindi, a un anno di distanza dal momento in cui la UEFA di assegnò a Belgio e Olanda Euro 2000.

João voleva fortemente il Giappone, Lennart [Johansson] aspirava a succedergli nel 1998 e anche per questo preferiva la Corea del Sud. Tra le due nazioni asiatiche non correvano buoni rapporti o, almeno, non correvano rapporti così buoni da pensare di voler cooperare; tanto che giapponesi e sudcoreani si stavano affrontando a suon di campagne promozionali per assicurarsi i voti dei singoli delegati FIFA.
Di fronte a questo scenario molto divisivo, la federazione internazionale tirò fuori un coup de théâtre e sancì che il Mondiale 2002 sarebbe stato co-organizzato da due federazioni. In gara, anche se con zero chance, c’era anche il Messico che fu ovviamente messo da parte. Nacque così Korea Japan 2002, con ovvia soddisfazione dei coreani e molto meno gioia dei giapponesi che, di fatto, avevano la sensazione che metà del Mondiale fosse stato loro sottratto di mano. Quanto visto sul campo nel corso della fase finale avrebbe convinto i nipponici che, in realtà, il Mondiale era stato loro interamente sottratto di mano dai “cugini” coreani.

Sarà perché i presupposti erano diversi, sarà perché invitare “piccoli Paesi” affini a cooperare, come suggeriva la UEFA nel 1995, era cosa ben diversa dal forzare due “grandi Paesi” politicamente rilevanti ed economicamente rivali a cogestire un evento, come invece aveva fatto la FIFA nel 1996, fatto sta che di assegnazioni congiunte a più federazioni nazionali la federazione internazionale non ne ha avallate o sponsorizzate più per un bel po’. Di fronte alla necessità di coinvolgere nuove nazioni, per espandere ancor più i propri interessi commerciali e di immagine, ha invece preferito una via più Valckiana, vedi Russia 2018 e Qatar 2022. Mi riferisco ovviamente a quanto disse nel 2013 l’allora segretario generale Valcke in merito ai problemi che stava dando l’organizzazione di Brasile 2014:

Sarà pazzesco, ma meno democrazia è meglio per organizzare un Mondiale. Quando c’è un capo di stato forte che può prendere decisioni autonomamente, tutto è più facile

Poi, in piena era Infantino, l’outsider salito inaspettatamente al soglio FIFA nel 2015 causa destituzione Blatter, una nuova accelerata: nel gennaio 2017 il governo mondiale del pallone ha deciso, all’unanimità, un ulteriore allargamento della platea dei partecipanti a una fase finale del Mondiale da 32 a 48 squadre e le assegnazioni congiunte sono ricomparse.

La prima, in ordine di tempo, è datata maggio 2020, quando si è stabilito che il primo Mondiale a 48 squadre sarà ospitato nel 2026 da Stati Uniti, Canada e Messico, anche se in modo asimmetrico. Canadesi e messicani vedranno solo una quindicina di partite ciascuno, magari quelle della propria Nazionale fino al primo turno a eliminazione diretta; gli USA si dovrebbero far carico delle restanti 70!1 Una divisione che non è una vera co-gestione e ricorda tanto quanto successo in occasione delle Coppe del Mondo di rugby disputate in Europa tra il 1991 e il 2015.
Un mese dopo, nel giugno 2020, è stata la volta del Mondiale femminile del 2023, il primo della storia con una fase finale a 32 squadre. Australia e Nuova Zelanda si sono spartite l’onere dell’organizzazione in modo, per così dire, proporzionale alla grandezza delle rispettive nazioni. Chiara la volontà delle due federazioni di mettere insieme i propri sforzi per portare nel continente oceanico per la prima volta una rassegna iridata targata FIFA.

Finalmente, tre anni dopo queste assegnazioni tutto sommato prive di fantasia, Infantino e soci hanno dato sfogo alle proprie capacità inventive e hanno tirato fuori dal cappello un capolavoro di sintesi per la Coppa del Mondo che nel 2030 festeggerà il Centenario. Rimarcando allo stesso tempo la bontà della teoria Valckiana, visto che nella stessa sessione di lavori alla sola Arabia Saudita con ben undici anni di anticipo è stata affidata l’edizione del 2034.

Puntate precedenti: La prima assegnazione congiunta, Il co-hosting made in UEFA
Puntata successiva: La stagione delle candidature accorpate