Alla vigilia dell’ultimo match l’unica cosa certa è che a chiudere la classifica sarà la Svizzera, con zero punti. Austria e Cecoslovacchia hanno concluso le loro fatiche e sono appaiate a 10 punti; Ungheria e Italia, che sono attese dallo scontro diretto a Budapest l’11 maggio 1930, di punti ne hanno nove. Conti alla mano, per magiari e azzurri vincere il confronto equivale a vincere la prima edizione della Coppa Internazionale.
Battere gli “ungarici” sul loro campo, cosa finora mai riuscita alla Nazionale, e sopravanzare gli austriaci. Già così sa di Grande Guerra portata sul rettangolo di gioco, per di più in una situazione politica generale in cui i richiami alla Patria e retorica annessa si sprecano. Se poi aggiungiamo che a guidare l’Italia è tornato da poco meno di un anno Vittorio Pozzo[1] – che al fronte il 1915 e il 1918 c’è anche stato -, non ci può sorprendere che gli azzurri vengano portati sul Carso prima della partenza in treno da Trieste in direzione Budapest.
Scrive La Gazzetta:

A Oslavia sostarono ai piedi del monumento che ricorda la gloria immortale dei nostri più puri eroi e il Cimitero dedicato al valoroso generale Papa, deponendo ai piedi di quel magnifico monumento fiori e fronde di alloro

Se, però, Ungheria e Italia pareggiano, ci sarebbe con un’ammucchiata di quattro squadre a 10 punti. Non è chiaro cosa succederebbe in questo caso. Di certo Austria e Cecoslovacchia – stesso numero di gol fatti, 17, e di gol subiti, 10, e migliore differenza reti rispetto a magiari e italiani – rientrerebbero in corsa per la vittoria finale. Cosa che – a leggere La Stampa – neanche il Sottosegretario alla Previdenza sociale Drehr del Regno d’Ungheria auspica. Alla stazione, accogliendo gli azzurri al termine del lungo viaggio in treno, ha, infatti, dichiarato:

Se voi vi impossesserete di quel trofeo, noi saremo i primi ad applaudirvi, mentre se noi ne saremo i depositari non certo voi ne proverete rimpianto perché […] il posto della coppa è a Roma o a Budapest.

Per il governo ungherese il “posto giusto della coppa” non è, quindi, né Vienna, né tantomeno Praga, anche se il trofeo è in cristallo di Boemia ed è intitolato ad Antonin Švehla, l’ex Primo Ministro cecoslovacco che lo ha materialmente commissionato nel 1927. Poco importa, quando si tratta di rinsaldare alleanze politiche tramite la diplomazia del calcio, l’aderenza alla realtà dei fatti è opzionale. Il reggente d’Ungheria, l’ammiraglio Miklós Horthy, ha, infatti, da qualche anno intrapreso una politica di forte avvicinamento all’Italia e al regime fascista per evitare l’isolamento internazionale in cui Budapest è finita alla caduta dell’Impero austro-ungarico. Isolamento acuito dai contrasti con la vicina Cecoslovacchia[2].

Riassumendo: Pozzo vuole una nuova dimostrazione di superiorità nei confronti degli austro-ungarici, mentre per i magiari la cosa più importante è che la coppa non prenda la strada di Praga. Insomma, tutti contenti se vince l’Italia. E il segno due puntualmente arriva, anche se con un risultato assolutamente impronosticabile alla vigilia: 0-5.
Gli azzurri sono protagonisti di una partita davvero “colossale”, come titola La Gazzetta il giorno dopo. Tante azioni già nel primo tempo, concluso sullo 0-1 per un gol di Giuseppe Meazza, lesto a mettere in rete una corta respinta del portiere Acht su punizione di Attilio Ferraris IV. Poi arrivano un palo di Orsi a inizio ripresa e quattro gol tra il 65′ e il 74′. Bepin realizza due reti, la prima di testa su cross di Orsi, la seconda a conclusione di un’azione davvero corale. Gli ultimi due centri portano la firma del livornese Magnozzi e del barese Costantino, a suggellare un dominio netto.
Al bronzo vinto ad Amsterdam si aggiunge, così, il primo trofeo. Nel decennio a venire Pozzo saprà rimpinguare a dovere la bacheca della Nazionale italiana anche senza riportare i suoi giocatori sul Carso.

Foto in evidenza tratta da “Il libro azzurro del calcio italiano”

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[1] Vittorio Pozzo aveva guidato la Nazionale come commissario unico all’Olimpiade di Stoccolma e per cinque match tra marzo e giugno 1924. Aveva, inoltre, fatto parte della commissione a sei in carica tra il 20 febbraio e il 6 marzo 1921. Il 1° dicembre 1929 divenne nuovamente commissario unico, al posto di Carlo Carcano, e restò in carica fino al 1948
[2] Horty è reggente dal 1920 e lo rimarrà fino al 1944, instaurando di fatto un regime collaborazionista con i nazi-fascisti e alleandosi con loro nella Seconda guerra mondiale