Storia della coppa più bella: 10° puntata
In Italia lo aveva portato la Juventus, nel 1956, quando aveva ancora ventuno anni. Kurt Hamrin all’epoca faceva l’operaio zincografo e le domeniche giocava con l’AIK, ma era già stato in Nazionale e proprio indossando la maglia gialloblù, in un Portogallo-Svezia 2-6, aveva definitivamente convinto gli osservatori dei bianconeri. Le cose, però, non erano andate bene a Torino: un’annata storta per tutta la squadra, un po’ di gol nelle prime giornate e poi una lunga sequenza di infortuni. L’uccellino, così come era stato soprannominato per il suo fisico, sembrava troppo fragile e troppo a rischio interventi rudi per il calcio italiano di allora. Così, ai saldi di fine stagione lo aveva preso il Padova di Nereo Rocco e da lì era iniziata la risalita: le sue 20 reti fecero da cornice allo storico terzo posto dei biancoscudati dietro la Juventus, ora di Sivori e Charles, e la Fiorentina. E proprio ai viola, dopo il bel secondo posto raggiunto al Mondiale 1958 con la sua Svezia, era stato venduto, divenendo piano piano una realtà e non più una sorpresa per la Serie A. Storica, in particolare, fu la quintupletta segnata sul campo dell’Atalanta nella stagione 1963/64: mai nessun giocatore era riuscito a segnare così tanti gol in trasferta in un’unica partita del massimo campionato.
Poi, alla veneranda età di 32 anni e dopo più di duecento reti segnate con la maglia della Fiorentina, una Coppa delle Coppe, due Coppe Italia e una Mitropa Cup vinte, Kurt Hamrin tornò nell’orbita dell’allenatore che lo aveva lanciato, Rocco, che nel frattempo aveva fatto altrettanta strada, se non di più, e al timone del Milan aveva già conquistato tutto. E con lo svedese si apprestava a rivincere in due sole stagioni scudetto e Coppa Campioni. Il trofeo che, però, sarebbe rimasto più legato al passaggio in rossonero dell’uccellino è la Coppa delle Coppe del 1968, con la finale contro l’Amburgo vinta grazie anche a una sua prestazione sontuosa (giusto per usare un vocabolo tanto caro a Bruno Pizzul).
La partita si gioca a Rotterdam, nello stadio del Feyenoord, il 23 maggio. Pochi minuti e, su imbeccata da destra di un dinamico Trapattoni, Hamrin porta in vantaggio i suoi. Il marchio sul match arriva, però, al 19′, quando lo svedese se ne va sulla destra con un’azione delle sue, manda fuori tempo due avversari con quasi impercettibili movimenti del corpo e tira. Gli dà una mano il portiere dell’Amburgo Özcan, che contribuisce più a far scivolare il pallone in rete che ad allontanarlo, ma il grande impatto dello svedese sulla partita è testimoniato da un’altra azione, a fine primo tempo, in cui sfiora il suo terzo gol personale. E stavolta il turco Özcan para in tuffo.
Nella ripresa i tedeschi provano a fare qualcosa, ma Cudicini è attento. La Gazzetta parla di un 31enne Uwe Seeler «sulla via del tramonto» e di un Rosato che non gli lascia spazio; racconta come il «molto dotato» Dieckmann si sia trovato «a mal partito» con la marcatura di Rivera e come, di contro, Lodetti abbia fatto naufragare Krämer. Insomma, un match mai in discussione, anche perché instradato da un uccellino che a 33 anni canta ancora.