C’è un cross piuttosto teso. Ince parte in elevazione col suo solito impeto da carrarmato. Ormai lo conosciamo, lui non entra mai per far male, anche se le sue entrate spesso «si sentono». Il portiere della Cremonese, Turci, respinge un attimo prima di venire abbattuto dal proiettile umano.
[…] Ince si alza per primo. […] Così raccoglie prima fischi, poi ingiurie, infine il coro razzista: «Negro di m…». Lo grida tutta la curva di una città [Cremona,] che è modello di ospitalità, signorilità e correttezza.
Se mi chiedessero qual è il più vecchio episodio di intolleranza nei confronti di un giocatore di colore avvenuto in Serie A che mi venga in mente, con la memoria riandrei sicuramente a quella vigilia di Pasqua del 1996 e agli insulti che la curva della Cremonese rivolse a Paul Ince, l’ex centrocampista del Manchester United che Massimo Moratti volle fortemente nella sua Inter e che poi affidò a Roy Hodgson. Il motivo è semplice: mi ricordo che, poco dopo esser stato vittima di quei cori, Ince si ritrovò la palla tra i piedi e fece partire con rabbia una bordata dal limite che si infilò in fondo al sacco. E pensare che il britannico nelle prime 27 giornate di campionato non aveva ancora segnato. Tutto accadde nei minuti di recupero del primo tempo e Paul, per i postumi dello scontro con Turci, riuscì a rimanere in campo solo fino al 5′ della ripresa.
A distanza di anni, di tanti altri episodi di razzismo da stadio, di ferme prese di posizione da parte dei giocatori di colore insultati e, purtroppo, anche di tanto inchiostro profuso da bianchi per spiegare come questi dovrebbero protestare, è interessante andare a vedere un po’ di più cosa accadde a margine di quel coro “dedicato” al centrocampista interista e di quella rete “dedicata” ai tifosi avversari.
Terminiamo, innanzitutto, il racconto fatto da Nicola Cecere sulla Gazzetta dello Sport, perché l’inevitabile rampogna arbitrale è dietro l’angolo ed è firmata da un fischietto cui la tv darà in seguito molto spazio:
Ince non reagisce […], si limita ad accennare un applauso. Movimento impercettibile, che il sempre abbronzato arbitro Cesari, uno a cui la pelle scura evidentemente piace, punisce con il giallo.
L’eccessivo e non troppo chiaro carico ironico prelude al classico confronto finale: in Inghilterra, terra di hooligans, il razzismo da stadio non c’è, da noi in Serie A sì. Ince in persona due giorni dopo spiega sulla rosea il modello inglese, fatto di sorveglianti che si mettono nelle zone calde dello stadio, schedature e squalifiche dei singoli che si macchiano di comportamenti razzisti. Paul avverte che il fenomeno non è da sottovalutare ma, chiaramente, si procura di condire il tutto con frasi, magari anche sincere, sul fatto che si trova bene in Italia e che non ravvisa nel paese che lo ospita una mentalità razzista. Da parte sua, Nicola Cecere, autore anche di questo articolo, enuclea meglio il concetto di Cremona ospitale, ricorrendo alla ben nota frase sessista «la mamma degli imbecilli è sempre incinta» e spiegando che ogni curva ha le proprie pecore nere. Però, il giallo e la relativa diffida a Paul Ince rimangono; il Giudice Sportivo, invece, assolve o quasi la curva grigiorossa, comminando solo cinque milioni (di vecchie lire) di multa.
A differenza di quanto da me inizialmente promesso, non avete trovato nulla di interessante, né tanto meno di sorprendente in questa vicenda datata 1996? Probabile, ma proprio questo spiega perché, nonostante tutti i dubbi che ci possano venire in mente, quanto accaduto 24 anni dopo nel corso del match di Champions League tra Paris Saint Germain e Istanbul Başakşehir non possa ritenersi un fatto di poco conto che non farà giurisprudenza.