Cinque Cerchi di Separazione

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Dall’introduzione: 

Cinque cerchi concentrici potrebbero ben rappresentare le barriere che hanno separato e quelle che ancora separano le donne dal pieno raggiungimento della parità di genere all’interno del mondo sportivo.

La casa e i figli o, più precisamente, l’asserzione secondo cui la donna ha un ruolo naturale, quello di moglie e madre. Questo il primo dei cinque anelli concentrici, il più duro da intaccare, anche perché perfettamente integrato con il secondo, fondato sulla pericolosità per il “sesso debole” di dedicarsi ad attività fisiche che richiedano forza, resistenza o velocità. Un siffatto sbarramento fu, ad esempio, eretto quando verso la fine dell’Ottocento si cominciò a parlare di educazione fisica per le ragazze, non già perché ci si preoccupasse della loro salute psichica, ma perché madri sane avrebbero in futuro sfornato più robusti alfieri della patria. E visto che una bicicletta o una corsetta avrebbero generato troppa indipendenza non richiesta, venivano bollate come poco salutari da studi medici prodotti ad hoc.

Seguono i cerchi numero tre e quattro. Conquistata, infatti, la dimensione agonistica, le donne si trovano a dover vincere lo “scetticismo” di giornalisti e addetti ai lavori che, con la scusa del confronto con quanto offrono gli uomini, parlano di prestazioni risibili, non degne di essere considerate sport. Questo pregiudizio diventa poi presupposto perché ci possa essere una differenza enorme, in termini di premi messi in palio, compensi ricevuti e riconoscimento della professionalità, tra atleti e atlete che praticano la stessa disciplina. Specie se i primi godono dello status di professionisti e le seconde no.

La barriera restante è forse la meno percepibile, soprattutto se non si pensa al CIO o alle varie federazioni nazionali e internazionali come a enti in grado di influenzare scelte politiche ed economiche, futuri orientamenti sociali e culturali: è l’ingranaggio responsabile della bassa percentuale di donne all’interno di queste organizzazioni deputate al governo dello sport, in particolar modo ai livelli più alti.
Gli ultimi due cerchi hanno, dunque, a che fare con discriminazioni di carattere più generale che riflettono in ambito sportivo quanto accade nel mondo del lavoro, vedi la questione del gender salary gap, o in seno agli organi di rappresentanza politica, vedi necessità delle “quote rosa” per garantire un numero decente di deputate alla Camera. Per questo della battaglia contro la disparità di trattamento economico di cui è divenuta icona la calciatrice statunitense Megan Rapinoe o delle strategie imposte dal CIO per avere più donne nei posti che contano, se ne parlerà nello stesso capitolo, quello conclusivo.

Di contro, singole discipline o gruppi di discipline affini avranno un proprio spazio all’interno del libro, perché sono differenti i modi con cui, ad esempio, nello sci e nell’atletica leggera i primi tre cerchi hanno impedito, normato, criticato l’accesso delle donne alle attività fisiche connesse e alle rispettive dimensioni agonistiche. Non a caso, passano cento anni tra i Giochi in cui le nuotatrici fanno il loro debutto e Londra 2012, momento in cui vengono ammesse anche le pugili, ultime a essere ancora fuori.