Chevanton in maglia Monaco

Chevanton in maglia Monaco

Senza squadre italiane in finale e senza neanche grandi club internazionali dal ricco fatturato, una finale di Champions League non dovrebbe perdere il suo fascino o, almeno, un posto di rilievo nei titoli del principale quotidiano sportivo italiano. Invece, la prima pagina della Gazzetta dello Sport il 27 maggio 2004 annuncia a caratteri cubitali il passaggio del leccese Chevanton al Palermo e solo in disparte avverte che il Porto ha messo in cascina la sua seconda coppa dalle grandi orecchie della storia battendo il Monaco. Provincialismo? Poca fiducia nella cultura sportiva dei propri lettori? Probabilmente sì, e anche un po’ di sfiga, visto che l’attaccante uruguayano del Lecce non andrà mai arriverà mai alla corte di Zamparini, nonostante il contratto già firmato, e si trasferirà, neanche a farlo apposta, al Monaco. Ma, al di là di tutto, in quella strana prima pagina centrata su Chevanton e non sulla finale di Champions sembra nascondersi il giudizio con cui la rosea ha già bollato l’edizione 2003/04: un’eccezione, dalla prossima stagione le grandi squadre e i grandi investimenti torneranno a farsi sentire, anche perché l’allenatore vincitore, tale Mourinho, se l’è già accaparrato il Chelsea.
Niente di più vero. Quanto accaduto tra febbraio e maggio del 2004 nella massima manifestazione europea per club resterà davvero eccezionale, così eccezionale da meritare un racconto più approfondito.

Per la prima volta dall’edizione 1990/91, quando si parlava ancora di Coppa Campioni, tornano gli ottavi di finale. Il turno a eliminazione diretta in più fa subito la prima vittima eccellente, il Manchester United: il Porto, vincitore della Coppa UEFA 2003, vince 2-1 in rimonta in casa all’andata grazie a una doppietta di Benny McCarthy; all’Old Trafford Scholes porta avanti i suoi, arriva anche un raddoppio ingiustamente annullato per off-side da Ivanov; poi, al 90′, sugli sviluppi di una punizione calciata da McCarthy, Costinha segna il gol qualificazione per i biancoblù portoghesi.

M esulta dopo il gol al Milan

Valeròn esulta dopo il gol al Milan

Sono, però, i quarti a riservare le sorprese più clamorose. Il Milan campione in carica travolge 4-1 in casa il Deportivo La Coruña e si presenta sicuro di sé al Riazor. Troppo sicuro, tanto che prende tre gol nel corso del primo tempo e uno alla mezzora della ripresa: Pandiani, Valeròn, Luque e capitan Fran i marcatori. I galiziani fanno così l’accoppiata, visto che al turno precedente hanno eliminato l’altra finalista italiana dell’edizione precedente, la Juventus.
Va fuori anche il Real Madrid, che la coppa l’ha vinta due anni prima. I galacticos vanno subito sotto all’andata contro il Monaco, poi reagiscono nella ripresa e ne segnano quattro con Helguera, Figo, Zidane e Ronaldo. Al minuto 83 un ex col dente avvelenato, Fernando Morientes, riduce le distanze. Il ritorno è ancora più emozionante: Raul segna dopo una sgroppata di Ronaldo, ma Ludovic Giuly -che andrà a giocare nel Barcellona e nella Roma- pareggia con un tiro dalla distanza prima dello scadere; un gran colpo di testa di Morientes, che esulta come non mai, e una zampata sotto misura ancora di Giuly ribaltano l’esito della qualificazione e mandano il Monaco in semifinale, dove la squadra del Principato è già arrivata senza successo nel 1994 e nel 1998.

Il giovane Mourinho prende bene la vittoria dei suoi in Champions League

Il giovane Mourinho prende con allegria la vittoria in Champions League

Gli accoppiamenti dicono Porto-Deportivo La Coruña e Monaco-Chelsea. In quattro possono mettere insieme solo una finale di Coppa Campioni vinta, quella resa famosa dal tacco di Rabah Madjer. Gli inglesi sono i più ricchi, ma non basta perché il Monaco fa un altro miracolo. Dopo la vittoria per 3-1 ottenuta in casa, i francesi sono sotto a Stamford Bridge di due gol al 44′, Grønkjær e Lampard gli autori. Prima che l’arbitro Frisk decreti la fine del tempo arriva, però, il gol puzzone che cambia le sorti della qualificazione: sul cross di Rothen, Morientes spizza di testa, la palla colpisce il palo e rimbalza sul laterale destro Ibarra che è lì, attaccato al montante chissà perché e, per di più, senza essere in fuorigioco. Il solito Morientes completa la rimonta nella ripresa e, per la squadra guidata da Didier Deschamps, la strada per la gloria sembra aperta.
Invece, andrà diversamente. Il Porto di Mourinho non incanta contro il Deportivo, 0-0 in casa e un golletto su rigore di Derlei al ritorno, concesso da Collina per uno stupido fallo di Cesar su Deco, che appena entrato in area dal versante sinistro si stava dirigendo verso la linea di fondo. Poi, in finale, i portoghesi dominano. Lo score finale dice 3-0, i gol portano la firma di Carlos Alberto, Deco e Alenichev e la partita è la classica sfida in cui le gambe tremano di chi ha meno esperienza tremano di più.
Quella sera a Gelsenkirchen scendono in campo giocatori che non proveranno più il piacere di una ribalta così importante, vedi Flavio Roma, in porta per il Monaco; molti che in un mesetto passeranno da un grande successo alla cocente delusione di perdere in casa e contro la matricola Grecia un campionato europeo, vedi Nuno Valente, Costinha, Maniche e Deco; e un giovane laterale sinistro, Patrice Evra, che metterà le mani sulla coppa dalle grandi orecchie nel 2008, ma suo malgrado diventerà un abitué delle finali di Champions League perse. E non è detto che non sia la cosa peggiore.

federico