Personaggi in cerca d’autore. 32° puntata: Eduard Streltsov
Nominare Eduard Streltsov (Эдуард Стрельцов) in un discorso che contenga il celebre e abusato aforisma di George Best, «se fossi nato brutto nessuno avrebbe mai sentito parlare di Pelé», non è assolutamente fuori luogo. Anzi, potrebbe essere un espediente per ottenere attenzione. Perché la storia del più grande talento della generazione d’oro dei Lev Jašin (Лев Яшин) e degli Igor Netto (Игорь Нетто) è affascinante e drammatica, parla di ingiustizie e rivincite, ma è nota quasi esclusivamente a chi ha letto qualcosa di molto dettagliato su di lui.[1]
Se poi non vogliamo fermarci a una narrazione mitopoietica ex post -un classico quando si parla di URSS e socialismo reale-, ecco che vita e carriera di Eduard, rilette alla luce della natura dialettica che il regime sovietico pretendeva di avere (almeno sulla carta), danno il La a considerazioni al limite del paradosso.
Streltsov nasce in un sobborgo di Mosca nel 1937. Il padre va via presto di casa e questo costringe il piccolo Eduard a lasciare la scuola per entrare in fabbrica come fabbro-tornitore. Ogni momento libero è dedicato al calcio e la sua abilità lo porta a soli 13 anni a entrare nella squadra della fabbrica per cui lavora. A sedici anni in un’amichevole contro la squadra giovanile della Torpedo Mosca (“Торпедо” Москва) impressiona talmente l’allenatore avversario che in poco tempo il giovane fabbro si ritrova a lavorare per la fabbrica di automobili Zis e a indossare la maglia della Torpedo, una maglia che gli rimarrà addosso tutta la vita.[2] Forte fisicamente, ma dotato di grande tecnica, a diciassette anni debutta in prima squadra. Edik, come lo soprannominano, segna tanto e fa segnare altrettanto. I suoi assist di tacco diventano famosi e, col suo compagno d’attacco Valentin Ivanov (Валентин Иванов), forma una coppia indissolubile. I due scalano la classifica dei marcatori in patria e arrivano in nazionale.
L’esordio con la maglia dell’Unione Sovietica arriva il 27 giugno 1956 a Stoccolma, la consacrazione alle Olimpiadi di Melbourne. I sudamericani non ci sono e dall’Europa occidentale sono arrivate solo le poco significative rappresentative di Regno Unito e Germania Unificata. La vittoria finale dei sovietici è indice, però, della competitività raggiunta, se non altro perché tutti i paesi socialisti hanno mandato in Australia le nazionali maggiori.
Streltsov risolve quasi da solo la semifinale. La partita è sullo 0-1 per una rete del bulgaro Kolev al 95′, ma nel secondo tempo supplementare Eduard realizza il gol del pareggio e fornisce l’assist per Tatušin (Татушин) per il definitivo 2-1. La sfortuna, però, lo frena. Il suo compagno d’attacco Ivanov si fa male e il commissario tecnico Gavriil Kačalin (Гавриил Качалин) preferisce cambiare coppia d’attacco per la finale, piuttosto che fare esperimenti rischiosi. Le sostituzioni del resto non esistono ancora. Contro la Jugoslavia finisce 1-0 grazie a un gol di Ilin (Ильин) e per i sovietici è una grande rivincita rispetto a quanto accaduto quattro anni prima a Helsinki. Le medaglie assegnate sono, però, solo undici e vanno esclusivamente a chi ha giocato la finale. Streltsov rimane senza, ma il peggio per lui deve ancora arrivare.
Come giocatore Eduard è quanto di meglio Federazione e Partito possano sperare per primeggiare anche al successivo Mondiale del 1958. Il comportamento dell’uomo Streltsov non piace, invece, alle alte sfere. Potremmo parlare del suo ciuffo alla teddy boy, delle volte che viene sorpreso ubriaco insieme ad altri compagni di squadra, del modo anche arrogante in cui i suoi venti anni gli fanno affrontare fama e agi, piovuti d’un tratto addosso con il beneplacito proprio del Partito. Magari, prima di iniziare a dispiacerci della sua sorte, ci verrebbe da pensare ad Eduard come a un Balotelli ante litteram.
Perderemmo, però, di vista un fattore importante, la componente ideologica che permea ogni aspetto della società sovietica e che impone che giocatore e uomo non possano essere entità distinte, ma due momenti di uno stesso processo dialettico. Su larga scala, questo processo mira alla riorganizzazione delle attività produttive in modo rivoluzionario e, di pari passo, all’edificazione di un nuovo tipo di umanità. Su piccola scala, deve con ogni mezzo far rientrare il giovane Streltsov all’interno di questo paradigma, perché gli sportivi che vestono CCCP nelle manifestazioni internazionali hanno l’onere di mostrarne la potenza. Da qui l’intervento dell’apparato repressivo, da considerarsi tale non perché pone limiti alla libertà di Eduard di vivere nel lusso, andare a donne e bere vodka, ma perché ha nel DNA l’idea di poter riportare tutto in ordine, in nome di un obiettivo superiore.
Lo Stato è una macchina e l’uomo un ingranaggio da far funzionare al meglio, anche attraverso la rieducazione. E il 25 maggio 1958, alla vigilia della partenza per i Mondiali di Svezia, arriva l’occasione giusta. La denuncia per stupro,[3] la frettolosa ammissione e l’ancor più celere processo lasciano adito a tanti dubbi sull’effettiva colpevolezza di Streltsov. Fatto sta che l’idolo delle folle e dei ragazzini, il ragazzo col ciuffo si ritrova così al Vjatlag (ВятЛаг),[4] un campo di rieducazione attraverso il lavoro che sorge nella regione di Kirov (Киров). Da lì è trasferito in una fabbrica di Noginsk (Ногинск) e poi a Tula (Тула). Eduard usa il pallone come mezzo per rimanere attaccato alla vita, perché tagliare legna al gelo o tornare a stare tante ore in fabbrica lo proiettano in una dimensione ben differente da quella che, prima, attorno proprio al pallone ruotava. Ma in questa nuova realtà lui non deve sentirsi completamente fuori posto, se è vero che si adatta a frequentare la scuola serale al termine della massacrante giornata di lavoro e riesce a vederci un’opportunità di terminare gli studi interrotti a tredici anni più che un obbligo verso il Partito.
Nel frattempo la condanna a dodici anni subisce due riduzioni. La nomina di Leonid Brežnev (Леонид Брежнев) a segretario del PCUS gli riapre le porte della società civile nel febbraio 1963. Un anno e mezzo e decine di disquisizioni politico-burocratiche dopo, si concretizza per Eduard il sogno di tornare a giocare con la maglia della Torpedo, che non lo ha mai dimenticato.
La classe è la stessa, nonostante anni e sofferenze patite si facciano sentire. Anche la voglia di vincere è rimasta intatta e frutta uno scudetto nel 1965[5] e la Coppa dell’URSS nel 1968. A esser cambiata è, però, la testa. Anche agli occhi di chi non gli avrebbe mai condonato la pena inflitta, l’ingranaggio Streltsov deve sembrare “funzionante”. Eduard può, così, recarsi a Milano con la Torpedo per il primo turno di Coppa Campioni, può tornare a vestire la maglia della nazionale in occasione di un match contro la Turchia[6] e viene addirittura nominato calciatore sovietico dell’anno nel 1967 e nel 1968.
Un finale di carriera a sorpresa, che, però, nell’ottica di quella dialettica su piccola scala cui facevamo riferimento, si adatta perfettamente al ruolo di sintesi e fornisce all’intero processo una diversa chiave interpretativa.
La patria del socialismo reale, pur riconoscendo l’enorme importanza propagandistica del calcio, ha preferito privare la propria nazionale del suo talento naturale, dell’unico in grado di fornire alla squadra quella imprevidibilità necessaria per raggiungere alti traguardi, e lo ha fatto per provare a reinserirlo in un contesto a lui più consono. A processo concluso gli ha poi restituito la gioia di indossare la divisa con la scritta CCCP. È la perfetta macchina Stato che si priva di un ingranaggio malfunzionante, pur se unico, e lo rimodula.
Onoro il braccio che muove il telaio, onoro la forza che muove l’acciaio, cantavano i CCCP. Peccato, però, che siano stati in migliaia a non aver avuto la fortuna e la tenacia di Streltsov di superare i campi di rieducazione.
La lettura proposta è a dir poco paradossale? O, peggio, giustifica le azioni del regime sovietico? Non saprei, ma intanto butto là un parallelismo. Chi ha scaricato Balotelli, dopo l’eliminazione dell’Italia dal Mondiale brasiliano, ha delle potenziali affinità con chi ha effettivamente spedito Streltsov al Vjatlag. Infatti, al negro italiano si rimproverava il non aver svolto la sua funzione specifica (giocar bene, segnare, stare zitto), il non aver contribuito al bene superiore (dare lustro alla nazionale e all’Italia, invece di menarla sempre con questa storia del razzismo). Da più parti, poi, lo si sarebbe volentieri mandato a lavorare nei campi a raccogliere pomodori. Analogie con un’aggravante discriminatoria, visto che, togliendo la parola negro, il discorso precedente avrebbe perso molto del suo significato.
Ad ogni modo, che Eduard sia diventato una persona anche intellettualmente diversa dopo i cinque anni di detenzione, se ne ha ulteriore conferma a fine carriera. Costretto ad appendere le scarpette al chiodo a soli 33 anni, in conseguenza di un infortunio patito al tendine d’Achille nel 1969, in una partita di campionato, Streltsov ne approfitta per completare gli studi, per prendere il diploma da allenatore e per insegnare alla scuola calcio della Torpedo. Ma nel 1990, a soli 53 anni, muore per un tumore ai polmoni. Marchio indelebile lasciato dai lavori forzati.
federico
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[1] Recentemente sono stati pubblicati libri e articoli che narrassero la vicenda Streltsov sia in Russia e che in altri paesi calciofili. Tra i libri segnaliamo Football Against The Enemy, di S. Kuper (1998), il libro russo Стрельцов: Человек без локтей, di A. Nilin (2002), e Donne, vodka e gulag. Eduard Streltsov, il campione, di M. Iaria (2010) in italiano
[2] La Torpedo nasce come squadra della Zis, la Zavod Imeni Stalina (Завод Имени Сталина), fabbrica statale di automobili
[3] La denuncia per stupro è notificata anche ai suoi compagni di nazionale Michail Ogonkov (Михаил Огоньков) e Boris Tatušin. I due giocatori dello Spartak Mosca (Спартак Москва) se la cavano con soli tre giorni di detenzione e con una squalifica ridotta poi a tre anni
[4] Vjatlag sta per Вятский исправительно-трудовой лагерь. Prende il nome dal fiume Vjatka (Вятка) che bagna la regione. Il lager è stato dismesso negli anni Novanta
[5] Il secondo della storia per la Torpedo Mosca, dopo quello vinto nel 1960, quando Streltsov è a Noginsk
[6] 28/9/1966, Inter-Torpedo Mosca 1-0, aut. Voronin. Al ritorno lo 0-0 promuove i nerazzurri campioni in carica. Per Streltsov la partita di Milano segna la prima volta all’estero dopo la condanna
13/10/1966, Mosca, URSS-Turchia 0-2, partita amichevole. Streltsov rimane nell’orbita della nazionale fino alla partita dei quarti degli Europei 1968. Non è, però, convocato per la fase finale