Trapattoneide – seconda puntata

Quello che il giorno dopo scrive in taglio alto Paolo Bertoli sulla pagina di Stampa Sera dedicata all’evento è davvero impietoso: «Pelé trotterella per venticinque minuti poi esce tra i fischi degli spettatori». L’articolo comincia con un’accusa ancor più generalizzata:

La cronaca di Italia-Brasile è la cronaca di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. L’incontro ritenuto in partenza come uno dei più importanti della stagione, all’atto pratico è scaduto alla melanconica noia di una gara giocata da giocatori fermi come pedine.

E meno male che gli azzurri hanno vinto 3-0, grazie ai gol di Sormani, Mazzola su rigore e Bulgarelli! L’inviato del quotidiano torinese torna, quindi, a parlare della “perla nera”: va bene le troppe partite giocate in poco tempo1, va bene l’incidente avuto in taxi ad Amburgo2, ma a questo punto poteva limitarsi alla passerella iniziale da divo, con annessa distribuzione di pacchi di caffé di una marca di cui è testimonial! Nel corso della partita Pelé ha, infatti, toccato tre-quattro palloni e poi si è fatto sostituire da Quarentinha.

Ci pensa, però, la Gazzetta dello sport a dare al tutto una dimensione diversa e decisamente più adatta al racconto che della partita di San Siro faranno i posteri. Il titolone in prima pagina dice «Il Brasile non era grande, ma l’Italia sì» e l’occhiello spiega: «Pelè gioca solo 26′ e Trapattoni lo annulla». Già Trapattoni Giovanni, classe 1939, arcigno mediano del Milan, futuro allenatore di gran successo. La sua carriera in azzurro raggiunge, invece, l’apice proprio quel 12 maggio del 1963, nella mezzora scarsa di confronto con Pelé: Trap, infatti, non rientrerà più nel progetto tecnico portato avanti da Edmondo Fabbri e collezionerà l’ultima delle sue 17 presenze in Nazionale maggiore un anno e mezzo dopo, in un’amichevole vinta 3-1 a Bologna contro la Danimarca3.

La prima pagina e il merito di aver fermato Pelé non saranno, quindi, per il Trap-giocatore un buon viatico per rimanere stabilmente nell’orbita della Nazionale. Molta più rilevanza per i colori azzurri avrà, invece, il dualismo Rivera-Mazzola che in quel pomeriggio della primavera del 1963 muove i suoi primi passi, seppure con discrezione e rispetto reciproco. Fabbri, infatti, li fa giocare uno accanto all’altro per tutti i novanta minuti e, al momento di calciare il rigore, Rivera, forte delle sue 4 presenze in azzurro e dei 2 gol fatti alla Turchia, con un largo gesto plateale e un «A te, Sandrino» cede l’onere di realizzare il 2-0 all’interista, che è, invece, al suo esordio.
Se si pensa a come, nella memoria collettiva, il successivo incontro contro il Brasile, in finale a Messico 1970, sarà legato alla mancata staffetta tra i due alfieri delle squadre milanesi, questa cavalleria un po’ forzata tra i due non può che far sorridere. In modo amaro4.

Puntata precedente: 5 settembre 1960: La sconfitta dal fondo del cappello
Puntata successiva: Pippo e il Trap