Prima uccideremo tutti i sovversivi; poi i loro collaboratori; poi i loro simpatizzanti; quindi chi rimarrà indifferente. Infine uccideremo gli indecisi.
Ibérico Manuel Saint-Jean, governatore militare della giunta di B. Aires
1 giugno 1978, il mondo attende la gara inaugurale del mondiale argentino, di fronte ci sono Germania Ovest e Polonia. Durante la cerimonia interviene Henry Kissinger dicendo «questo paese ha un grande futuro, su tutti i livelli». João Havelange, all’epoca presidente della FIFA, invece ha il coraggio di dichiarare: «finalmente il mondo potrà vedere la vera faccia dell’Argentina». Il dittatore Videla parla di armonia e amicizia, promettendo un mondiale all’insegna della pace e chiedendo a tutti i patrioti argentini di stringersi per l’occasione intorno alla propria bandiera. Intanto però i salari sono congelati, l’inflazione è insostenibile, i sindacati non esistono più, la stampa è sotto il controllo del regime, le persone vengono rapite, torturate e uccise. Leopoldo Luque, attaccante argentino dell’epoca, disse in seguito che «quasi tutti i giorni la gente correva accanto al nostro autobus, pregando per noi con i rosari in mano. Potevi vedere nei loro occhi quanto fosse importante per loro. Vincere la coppa era nostro dovere, per la nostra gente, per fargli dimenticare le sofferenze. Come non potevamo vincere la coppa per queste persone?».
I MILITARI AL POTERE. Nel giugno del 1973 Juan Domingo Perón rientrò trionfalmente dall’esilio grazie a Héctor Cámpora, presidente democraticamente eletto tre mesi prima. Ad attenderlo all’aeroporto Ezeiza di Buenos Aires c’erano tre milioni di persone, tra cui i Montoneros – i socialrivoluzionari che inneggiavano al vero peronismo – e l’Alleanza argentina anticomunista, o tripla A [1], capeggiata da Josè Lopez Rega, ex segretario di Perón. Gli anticomunisti in quell’occasione fucilarono tredici Montoneros, anche se probabilmente è una cifra al ribasso visto che di fatto non fu mai aperta un’inchiesta sull’accaduto. Dopo il cosiddetto massacro di Ezeiza la frattura tra le due fazioni divenne irreparabile, e a distanza di un mese Cámpora rassegnò le dimissioni spianando la strada a una rielezione di Perón, il cui nuovo mandato però durò soltanto un anno poiché morì d’infarto nel luglio del 1974. Gli successe la terza moglie Isabel, che però non aveva esperienza politica e Rega aveva su di lei una forte influenza, anche perché pare avessero in comune l’interesse per esoterismo e occultismo. Infatti il 24 marzo del 1976 un colpo di Stato militare rovesciò il governo, ponendo fine alla favola dell’ex ballerina di un night club panamense che sposò un capo di Stato ereditandone il potere. Si instaurò una dittatura guidata da Videla, che diede inizio al “Processo di Riorganizzazione Nazionale” dietro cui si nascondeva la brutale repressione dei presunti dissidenti, che venivano rapiti e scomparivano per sempre. Si tratta dei tristemente famosi detenidos desaparecidos, presi dai militari e talvolta torturati, talvolta gettati vivi dagli aerei nei cosiddetti voli della morte, talvolta semplicemente uccisi. Una “guerra sporca” appoggiata anche, appunto, da Kissinger [2]; il segretario di Stato americano incontrò i capi del regime a tre mesi dal colpo di Stato, quando erano già sparite circa mille persone. Ufficialmente i desaparecidos ammontano a novemila, anche se in realtà se ne stimano oltre trentamila.
L’ORGANIZZAZIONE DEL MONDIALE. Per quanto qualche paese abbia avanzato dubbi sulla candidatura argentina, di fatto Videla ereditò da Isabel Perón anche l’onore e l’onere di organizzare i mondiali del 1978, sfiorati dall’Argentina nel 1962 e nel 1970. Il regime vide la manifestazione come un’ottima occasione per fornire al mondo un’immagine del paese a dir poco distorta [3] (“la migliore”, a detta di Havelange): Omar Actis, capo del comitato organizzatore dei mondiali, si affidò alla Burson & Marsteller, una società pubblicitaria americana, per esaltare i “risultati” del nuovo governo e offuscare le sparizioni dei dissidenti. Ma la giunta al potere non si limitò a ciò. Pochi mesi prima del calcio d’inizio l’esercito mise in atto l’operazione “El Barrido”, radendo al suolo i quartieri malfamati di Buenos Aires, deportando le persone che vi abitavano nella provincia di Catamarca, erigendo a Rosario un muro pieno di case dipinte per coprire le baracche: il tutto allo scopo di nascondere la povertà e il degrado. Intanto le persecuzioni si intensificarono fino a raggiungere una media di duecento arresti al giorno, per evitare che i presunti dissidenti riuscissero a parlare con i giornalisti stranieri accorsi per il mondiale spiegandogli la vera Argentina. E infatti i media perlopiù evitarono di parlare delle violenze dei militari, attenendosi semplicemente al lato sportivo. Solo un’emittente televisiva olandese, poco prima dell’inizio del mondiale mostrò i volti dell’unica vera opposizione al regime, cioè quelli delle madri dei desaparecidos che ogni giovedì, dal 30 aprile del 1977 in poi, nonostante le ripetute intimidazioni si ritrovavano alla Plaza de Mayo di Buenos Aires, percorrendola in cerchio agitando silenziosamente dei fazzoletti bianchi.
La messinscena propagandistica, favorita dalla citata indifferenza della stampa mondiale, per funzionare del tutto avrebbe dovuto però culminare con la vittoria della nazionale padrona di casa, che aveva il dovere di riscattarsi dopo i disastri degli ultimi due mondiali: gli albiceleste non si erano qualificati per Messico 1970 ed erano stati eliminati al primo turno in Germania Ovest nel 1974. Serviva una rivoluzione, un ritorno al calcio come bellezza: a questo scopo fu ingaggiato come allenatore César Luis “el flaco” Menotti, nonostante le sue idee politiche tendenzialmente radicali cozzassero con quelle di Videla e i suoi seguaci. Osvaldo Ardiles, centrocampista di quella nazionale, ha poi dichiarato che «era ovvio che Menotti non la pensasse come i militari, e senza dubbio molte volte hanno pensato di sostituirlo. Ma era considerato la sola chance di vincere i mondiali, perciò lo tolleravano». Menotti divenne così, suo malgrado, un altro strumento del regime.
LA MARMELADA PERUANA. Nella prima fase a gruppi l’Argentina dovette affrontare Ungheria, Francia e Italia. Si impose sulle prime due, pur con qualche difficoltà, ma fu sconfitta dai sorprendenti azzurri di Bearzot, uno a zero con gol di Bettega al 67’, al termine di un’azione magistrale durante la quale, a detta di Eduardo Galeano, la difesa argentina rimase “più persa di un cieco in una sparatoria”. I padroni di casa arrivarono quindi secondi dietro l’Italia, per cui si trovarono di fronte il Brasile nel girone di semifinale [4]. Contro i verdeoro finì 0-0, e gli albiceleste per approdare alla finale erano costretti a vincere con tre gol di scarto (e almeno quattro segnati) contro il Perù, nell’ultimo turno del girone [5]. Ne risultò una delle partite più discusse della storia del calcio, la cosiddetta “marmelada peruana” su cui sorsero sospetti già alla lettura delle formazioni. In porta per il Perù infatti, a sorpresa fu confermato “el loco” Quiroga anche se non solo era un argentino naturalizzato, ma era anche originario di Rosario (dove si giocava) e cresciuto nel Rosario Central, che peraltro dopo qualche anno ammise la combine. Josè Velazquez, uno dei più importanti calciatori peruviani dell’epoca, parlò successivamente di “strani episodi” precedenti all’incontro, tra cui una visita di Videla (e il solito Kissinger) nei loro spogliatoi, dopo cui fu scelto proprio Quiroga per “difendere” i pali. C’è chi scrive che prima della partita la giunta militare argentina donò un milione di tonnellate di grano al Perù e venne aperta una linea di credito di cinquanta milioni di dollari, soldi la cui provenienza sarebbe a dir poco sospetta. Come se non bastasse, secondo Gilberto Rodriguez de Orejuela, il figlio di un boss dei narcos colombiani, suo padre e suo zio Miguel consegnarono ai calciatori peruviani una quantità imprecisata di denaro allo scopo di far vincere gli avversari e non far arrivare in finale il Brasile. Tale dichiarazione va però presa con le pinze, in quanto utilizzata per lanciare il suo libro “Il figlio dello scacchista”.
Sta di fatto che la partita poi finì addirittura 6-0 e i padroni di casa approdarono alla finale, in cui li aspettava l’Olanda che qualche giorno prima aveva sconfitto l’Italia. Gli orange si erano presentati al mondiale senza il loro giocatore più rappresentativo, Johan Cruijff. Della sua mancata partecipazione ad Argentina 78 si parlò molto all’epoca: c’era chi faceva dietrologia sugli sponsor, chi parlava di fratture con la federazione olandese e chi diceva che fu la moglie a trattenerlo, ma alla fine tra i media la spuntò la versione dei fatti che vedeva nell’assenza di Cruijff una forma di protesta verso la dittatura. Egli stesso ha poi confessato di aver avuto semplicemente paura di essere rapito, poiché qualche mese prima del mundial dei malviventi erano entrati nel suo appartamento di Barcellona e gli avevano puntato un fucile in testa, episodio dopo il quale lui e la sua famiglia erano costantemente scortati dalla polizia.
LA FINALE. L’ultima partita di questo mondiale maledetto si giocò naturalmente nel sontuoso Monumental, sotto gli occhi di ottantamila persone. In tribuna d’onore, oltre alla giunta militare al completo figurava anche Licio Gelli, visto che della P2 faceva parte anche Rega e si pensa che la loggia abbia contribuito al successo del colpo di Stato. Menotti negli spogliatoi esortò i suoi a non pensare alle autorità presenti, ma alla gente comune che poteva trarre una gioia dalla vittoria di quella partita, coerentemente con lo slogan che si poteva vedere per tutte le strade di Buenos Aires: “venticinque milioni di argentini giocheranno la Coppa del mondo”. Di fatto l’Argentina la vinse, 3-1 dopo i tempi supplementari con la seconda doppietta consecutiva di Kempes, capocannoniere, che però dopo la partita non si fece troppo coinvolgere dai festeggiamenti, dichiarando agli amici più stretti che c’era ben poco da festeggiare. La gara venne diretta dall’italiano Sergio Gonella, il cui arbitraggio fu a dir poco discutibile, tanto da indurlo ad appendere il fischietto al chiodo subito dopo. Ad esempio, la finale iniziò in ritardo perché Gonella, tra le proteste degli olandesi, non voleva far giocare René Van de Kerkhof a causa di una fasciatura a un braccio sostenendo che fosse pericolosa, benché in precedenza approvata dalla FIFA. In generale, soprattutto nel primo tempo, le azioni degli orange furono più volte fermate per fuorigioco inventati e per falli altrettanto inesistenti, ma Italo Cucci nel Guerin Sportivo dell’epoca scrisse che l’arbitro ben rappresentò l’Italia applicando una “giusta severità a una gara iniziata all’insegna del nervosismo”. Non vi fu traccia di questa severità, però, quando Passarella con una gomitata ruppe due denti a Neeskens, passandola liscia.
Tutto il mondo in ogni caso si concentrò sul Monumental, ignorando quello che c’era intorno. Ardiles racconta: «stavamo disputando la finale nello stadio del River Plate, e a tre-quattrocento metri c’era la scuola di meccanica navale. Solo dopo abbiamo scoperto che era il principale centro di tortura della marina. E penso, quando segnavamo, tutti ci potevano sentire. Le guardie magari dicevano ai prigionieri “stiamo vincendo”, è così che probabilmente glielo riferivano. Non dicevano “L’Argentina sta vincendo” ma “noi stiamo vincendo”. Uno è l’aguzzino, l’altro la sua vittima. E poi penso, coloro che erano imprigionati come si sentivano, felici o tristi?. In un certo senso erano felici perché erano argentini, e stavamo vincendo la Coppa del Mondo per la prima volta nella nostra storia. Meraviglioso. Ma sapevano che quella vittoria significava che la dittatura militare sarebbe durata ancora a lungo. Che non sarebbero stati rilasciati. Cosa hanno provato in quei momenti?». Dalla Escuela de Mecanica dell’Armada, appunto vicinissima al Monumental, passarono all’incirca cinquemila detenuti. Durante il mondiale, nei novanta minuti in cui giocava la nazionale, si interrompevano le torture come i voli della morte, i rapimenti, le uccisioni.
D’altronde, come disse Jorge Valdano, calciatore guarda caso argentino degli anni ’80, «l’unica responsabilità del calcio è quella di possedere una straordinaria forza di coesione sociale». Anche se dopo il triplice fischio tutto tornò come prima, e il popolo argentino subì altri tre anni di brutale dittatura.
daniele
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[1] Di Alleanza argentina anticomunista peraltro faceva parte anche Stefano delle Chiaie, esponente dell’estrema destra italiana, primo allievo di Julius Evola e vicinissimo a Rauti, fondatore di Avanguardia Nazionale, che si pensa sia anche coinvolto nella strage di Piazza Fontana.
[2] Kissinger, vincitore del Nobel per la pace nel 1973, oltre a ciò ha sulla coscienza l’appoggio al colpo di Stato cileno del 1973, all’invasione di Timor Est da parte di Suharto con conseguente uccisione di circa 200.000 cittadini, e al genocidio in Cambogia prima della presa del potere da parte di Pol Pot, giusto per citare qualcosa.
[3] Del resto usare lo sport a scopi propagandistici è stata una prerogativa di un po’ tutte le dittature: ad esempio Hitler odiava lo sport, ma durante le Olimpiadi di Berlino del 1936 era tronfiamente in tribuna a premiare gli atleti tedeschi, e anche Mussolini ha cercato di controllare il calcio a causa del quantitativo di appassionati.
[4] La seconda fase era costituita da due gironi di semifinale di quattro squadre ciascuno, chiamati Gruppo A e Gruppo B. Nel Gruppo A confluivano le prime dei gruppi 1 e 3 e le seconde dei gruppi 2 e 4; nel Gruppo B le prime dei gruppi 2 e 4 e le seconde dei gruppi 1 e 3. I criteri in caso di parità di punti erano gli stessi validi per i gruppi di qualificazione. Le prime classificate di tali gironi disputavano la finale per il primo posto, mentre le seconde disputavano la finale per il terzo posto.
[5] Argentina contro Perù e Brasile contro Polonia in teoria avrebbero dovuto giocare in contemporanea per evitare calcoli sulla differenza reti necessaria per arrivare in finale, come del resto ancora avviene nei gironi delle competizioni internazionali. Stavolta Brasile-Polonia fu giocata alle 16,45 e Argentina-Perù alle 19,15, così i padroni di casa già sapevano quante reti dovevano realizzare. Ufficialmente si agì così per permettere alle televisioni di seguire entrambe le partite, ma di fatto i padroni di casa furono in tal modo avvantaggiati.
Mi avete anticipato, vi volevo giusto chiedere un articolo su questo tema. Più precisamente sul fatto, di cui non so la veridicità o meno, che Mario Kempes alla fine della partita non diede la mano a Videla. Magari approfondiremo, però vi vorrei chiedere un altro pezzo a questo punto, vent’anni fa moriva Gianni Brera e non aggiungo altro
Gatto cogli nel segno. La morte di Gianni Brera è stata cmq ricordata in occasione del post sulla partita dell’Italia con Malta. Il giorno della sua morte, infatti, l’Italia giocava a La Valletta per le QM 1994 e un Pizzul attonito commentò quella vittoria un po’ triste per 2-1 http://calcioromantico.com/2012/09/10/e-adesso-ce-malta/