A leggere i nomi degli stadi delle città sparse lungo lo stivale l’idea che ne vien fuori è che l’Italia sia patria di santi e calciatori. La devozione prima di tutto. E se il Sant’Elia di Cagliari si chiama così perché sorge nell’omonimo quartiere, e se il Giuseppe Meazza di Milano è noto come San Siro per lo stesso motivo e perché non ci gioca solo l’Inter di cui Bepin era bandiera, i santi Paolo e Nicola possono star certi che napoletani e baresi proprio a loro han voluto dedicare i rispettivi stadi. I primi hanno scelto il santo di Tarso perché secondo tradizione San Paolo approdò dalla Terrasanta proprio a Fuorigrotta, il quartiere dove lo stadio di Napoli è stato costruito negli anni cinquanta, e perché la coppia San Paolo-San Gennaro dava maggiori garanzie in alto loco (anche se senza San Diego non sarebbero andati da nessuna parte). Invece San Nicola, grazie ai baresi, anzi ai pugliesi tutti, ha sbaragliato la concorrenza in una specie di sondaggio popolare organizzato dalla Gazzetta del Mezzogiorno per decidere tra una rosa di cinque nomi quello da assegnare all’Astronave costruita da Renzo Piano in vista di Italia ’90.[1]
E dopo i santi veri, tocca ai santi laici. Così troviamo stadi dedicati a calciatori da ricordare per le loro gesta, come il Silvio Piola di Novara, il già citato Meazza di Milano, l’ Armando Picchi di Livorno o il Nereo Rocco di Trieste, anche se il Parón è passato alla storia soprattutto come allenatore vincente. Ben più nutrita la schiera degli stadi dedicati a giocatori prematuramente scomparsi ma non dimenticati dai tifosi. Luigi Ferraris a Genova, Giovanni Zini a Cremona, Renato Curi a Perugia, Erasmo Iacovone a Taranto: tutti calciatori che la morte ha colto in guerra, sul campo o per strada con grande anticipo. Un capitolo a parte merita poi il Grande Torino. Fu tanta la commozione per la tragedia di Superga che in terreni di gioco dedicati ai granata si giocava e si gioca ancora oggi in tutta la penisola: al Rigamonti è di casa il Brescia, al Menti il Vicenza, all’Ossola il Varese, al Martelli il Mantova, al Grezar la Triestina fino ai primi anni novanta, al Dino e Aldo Ballarin la Sambenedettese fino al 1985, al Valentino Mazzola il Taranto fino agli anni sessanta.
Fin qui nulla di strano. Intitolare uno stadio a un calciatore sembra una scelta ovvia (santi a parte), come ovvia appare la scelta di intitolarlo a un dirigente che ha portato la squadra della città a raggiungere vette mai viste prima. Vedi Massimino a Catania o Garilli a Piacenza. Decisamente meno atteso è scoprire che in Italia altri uomini di sport ma non di calcio hanno un terreno di gioco che porta il loro nome. Tra questi spiccano due motociclisti, Omobono Tenni e Libero Liberati, che i cittadini di Treviso e Terni hanno venerato come e più che se fossero calciatori.
Tenni è stato per tutti il Diavolo nero , anzi the black Devil perché è stato il primo non britannico a vincere il Tourist Trophy all’isola di Man: su una Moto Guzzi 250 ha trionfato nel 1937 nella categoria Lightweight. E in un periodo in cui nella perfida Terra d’Albione si annidavano nemici, un italiano che vince la gara più difficile al mondo in sella a una moto italiana immaginate quanta popolarità può riscuotere. La morte in pista, a Berna nel Gran Premio di Svizzera del 1948, ha fatto il resto e oggi a Treviso, la città in cui Tenni si è trasferito ancor giovane, lo stadio porta il suo nome.
Liberati è stato un fenomeno più locale, ma non meno importante per la storia del motociclismo: è stato infatti il primo italiano a vincere il titolo mondiale nella classe regina (la 500cc). Il 1957 l’anno magico, poi però la sua Gilera si ritira dalle competizioni e per il Cavaliere d’Acciaio, chiamato così anche perché ternano, iniziano anni difficili. Nel 1962 la Gilera torna in pista e lui vuole farsi trovare allenato, ma provando la nuova moto trova la morte sulla statale Valnerina a pochi passi da casa. Ancora una tragedia che rende epiche le recenti imprese di un cavaliere e una città che per sdebitarsi intitola a lui uno stadio.
Per fortuna, almeno uno stadio dedicato a uno sportivo non calciatore non finito male c’è: è l’Alberto Braglia di Modena, che ricorda il ginnastica dei primi anni del secolo XX capace di vincere tre ori olimpici.
federico
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[1] Il sondaggio traeva spunto da quello voluto dal CONI per la scelta del nome da assegnare alla mascotte di Italia ’90. In quel caso CIAO batté AMICO, BIMBO, BENIAMINO e DRIBBLY, nel caso dello stadio di Bari le altre alternative a San Nicola erano Azzurro, Mediterraneo, Del Levante e Degli Ulivi