Il Calcio alle Olimpiadi. 11° puntata: Amsterdam 1928

La Germania non ha più il veto del CIO e alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 può tornare a gareggiare. L’Italia ha il dovere di ben figurare e di portare a casa dall’Olanda tante medaglie perché lo sport è “strumento di propaganda e di potenza della nazione”, come proclama Ferretti, il segretario del CONI, ormai fascistizzato negli uomini e negli intenti. L’Argentina ha portato alla IX Olimpiade boxeur e schermidori in grado di puntare al podio, ma è nel torneo di calcio che cerca la vittoria più importante, perché è campione in carica del Sudamericano, perché è la prima volta che sbarca in Europa e perché l’introduzione del broken time payment -i “rimborsi” corrisposti dalla federazione di appartenenza ai giocatori impiegati alle Olimpiadi- ha permesso alla AAAF di portare la nazionale vera.[1]
Le tre squadre, le tre nazioni che l’Uruguay incontra sul proprio cammino, dai quarti di finale in poi, nel torneo di calcio hanno tutte qualcosa da dimostrare, tutte qualcosa da chiedere all’ultimo grande torneo internazionale dell’epoca pre-Coppa Rimet, ma alla fine a vincere sarà ancora la celeste, come a Parigi quattro anni prima.

Nasazzi, Kalb e l'arbitro egiziano Mohamed, che nel corso della gara li espellerà entrambi

Nasazzi, Kalb e l’arbitro egiziano Mohamed, che nel corso della gara li espellerà entrambi

Il torneo parte il 27 maggio 1928, un giorno dopo la decisione della FIFA di bypassare le regole olimpiche organizzando, a partire dal 1930, una Coppa del Mondo completamente autonoma. Le squadre arrivate ad Amsterdam sono 17, cinque in meno dell’edizione parigina, ma nessuno se ne accorgerà. Dopo aver regolato 2-0 l’Olanda padrona di casa agli ottavi, gli uruguayani il 3 giugno si trovano di fronte la Germania. Tra il pubblico ci sono seimila tedeschi in trasferta, l’atmosfera è carica. C’è persino la cinepresa a immortalare alcune sequenze di quella partita, ma dalle immagini poco si intuisce del modo di giocare delle squadre in campo e della durezza dell’incontro. La Germania, forse, sente troppo la pressione del pubblico, sicuramente mal sopporta l’abilità di palleggio degli avversari. Al 36′ Petrone porta l’Uruguay in vantaggio, un tiro potente impreziosito da un precedente “secco giro su stesso” per liberarsi della marcatura di un avversario, come scrive Pozzo su La Stampa. È forse la goccia che fa traboccare il vaso. Passano pochi minuti e il capitano tedesco Kalb colpisce un avversario a palla lontana: espulsione e sulla punizione successiva Petrone raddoppia. La ripresa inizia un po’ in ritardo, perché la Germania medita fino all’ultimo di non presentarsi. Poi entra in campo e fino allo 0-3 subito da Castro al 63′ fila tutto liscio. Il risultato non è più in discussione, la disputa tra chi mena di più, ancora sì, perché sono stati i tedeschi a cominciare, ma gli uruguayani non si lasciano “intimidire anche quando il gioco si fa violentissimo”. Morale, negli ultimi minuti arrivano un gol e un’espulsione per parte.[2]

L’espulso per la celeste è uno non da poco, il capitano Nasazzi, difensore di gran temperamento e buona tecnica, ed è forse questo il motivo per cui in semifinale contro l’Italia il 3 giugno l’Uruguay in difesa balla di più. Gli azzurri, guidati da Augusto Rangone, sono alla prima sfida contro una nazionale sudamericana e non vogliono sfigurare. Partono fortissimo, segnano con Baloncieri all’ottavo minuto e sfiorano il raddoppio un minuto dopo: è il “negro Andrade” a respingere “un po’ con la mano, un po’ con il petto” la palla a ridosso della linea di porta e a mandar fuori. L’arbitro non dà neanche il corner. Lo sventato pericolo sveglia i campioni in carica che non lasciano scampo agli azzurri nella seconda parte del primo tempo: uno strano tiro di Cea batte Combi e finisce nel sacco (e il cronista-tifoso Pozzo si appella alla sfortuna); poi Campolo e Scarone, con una grande azione, portano a tre le reti della celeste. Ma è una carica su Combi sull’1-1 che fa capire, come gli uruguayani abbiano iniziato a non sottovalutare gli avversari. Un palo salva l’Italia dal cappotto, poi nella ripresa gli azzurri rialzano la testa. Schiavio in mischia -a proposito di cariche al portiere- segna il 3-2, gli azzurri vanno tutti in attacco e alla fine ottengono il tributo del pubblico. Però, in finale ci vanno gli uruguayani.

Juan Piriz, A. Gestido e H. Scarone

Juan Piriz, A. Gestido e H. Scarone

Dalla parte opposta del tabellone, intanto, gli altri ospiti sudamericani hanno fatto faville: 11-2 agli Stati Uniti, 6-3 al Belgio, 6-0 all’Egitto; Tarasconi ha segnato dieci gol, Ferreira cinque, il futuro oriundo Raimundo Orsi tre. La finale più attesa, la partita che ha deciso quattro delle ultime cinque Copa América inizia il 10 giugno e terminerà solo tre giorni dopo, con grave danno per alcuni azzurri che non potranno essere presenti alla premiazione ufficiale e ricevere la loro medaglia di bronzo in uno stadio pieno di gente.[3]
Ci lasciamo guidare ancora da Vittorio Pozzo nella narrazione del doppio confronto. Il primo match, giocato davanti a 35000 persone che hanno anche “momenti di ammutinamento completo”, dura meno di un’ora: l’Uruguay domina nel primo tempo e segna con Petrone, l’Argentina pareggia un po’ a sorpresa con Ferreira a inizio ripresa e poi vince la paura di perdere, diremmo oggi. L’arbitro olandese Mutters insiste, il pubblico anche, ma nei due inutili prolungamenti da 15 minuti, il risultato non si schioda. Tre giorni dopo il tutto sembra ripetersi, nonostante i quattro cambi nelle fila degli uruguayani: al 17′ grande azione di Scarone che ne fa fuori due, entra in area e serve lo smarcato Figueroa che segna facilmente; Scarone prende una traversa e sull’azione successiva Luisito Monti, altro futuro oriundo, trova il pareggio con un bel tiro al volo. Negli spogliatoi tra primo e secondo tempo, però, gli uruguayani ritrovano la concentrazione e tornano a macinare gioco. Il 2-1 arriva alla mezzora: centro dal fondo di Arremon, Borjas scarica su Scarone che da una decina di metri mette dentro.[4] La celeste ha nuovamente dimostrato di essere la squadra più forte e due anni dopo, in casa, completerà il suo quasi inarrivabile tris mondiale.

federico

Puntata precedente: Italia, bronzo ad Amsterdam 1928; Puntata successiva: Le Olimpiadi di Spartaco
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[1] Dal 1919 al 1926 la presenza di due federazioni distinte, la AAF e la AAm, aveva portato alla presenza anche di due nazionali distinte. Sotto l’egida della AAAF, a partire dal 1927, la nazionale ritrova la sua unità e vince il Sudamericano
[2] Il comitato olimpico uruguayano chiederà le scuse ufficiali a quello tedesco
[3] Alla premiazione partecipano 12 azzurri. In 10 tornano a casa, tra cui il mediano Pietroboni, colpito da un grave lutto familiare
[4] Al posto di Urdinaran e Petrone, che non sono in campo e che vengono citati da Pozzo, abbiamo messo i loro sostituti Arremon e Borjas