Strano e importante il 1977 in Italia. Il Movimento, le Femministe, l’applicazione della scala mobile, i cingolati di Cossiga, gli scontri e i «quarantamila denunciati, quindicimila arrestati, quattromila condannati a migliaia di anni di galera, e poi morti e feriti, a centinaia, da entrambe le parti» [1].
Un anno in cui il nostro paese si trova a ospitare, quasi senza accorgersene, una partita destinata a invertire la rotta del calcio europeo – che da quel momento in poi punterà forte oltremanica. Già, perché fino al 1977, in Coppa Campioni – come del resto nel caso delle competizioni per squadre nazionali–, la maestra Inghilterra arranca: nell’albo d’oro figura solo il Manchester United che ha alzato il trofeo dalle grandi orecchie nel 1968, ma per il resto è una questione spagnola, portoghese, italiana, tedesca e olandese.
A Roma il 25 maggio 1977 si gioca la finale, Liverpool contro Borussia Mönchengladbach. Le due si sono già contese quattro anni prima la Coppa UEFA, e l’avevano spuntata gli inglesi. Ma qui è un’altra cosa, perché per entrambe le squadre è la prima finale del massimo torneo continentale e, soprattutto, perché la Coppa Campioni è arrivata quasi a rappresentare una maledizione per le squadre britanniche. Forse anche per questo motivo il Liverpool all’Olimpico sembra giocare in casa; decine di migliaia di tifosi reds sono arrivati in Italia principalmente via treno (cinque i convogli speciali partiti dal Merseyside). Non vengono ancora chiamati hooligans, il picco di violenza culminato con la tragedia dell’Heysel ancora non c’è stato. In Italia, infatti, si legge di “cortei, canti, tremende sbornie”, di tentativi di “abbordare donne” e di fiumi di alcol che addirittura hanno indotto qualcuno a sbagliare treno di ritorno e a ritrovarsi in Sicilia [2]. Poco più che folclore, insomma, nonostante si faccia riferimento alle loro “famose intemperanze”.
Di certo per i giocatori inglesi quel chiassoso muro rosso sugli spalti dell’Olimpico contribuisce fin da subito a rendere la partita indimenticabile. Sciarpe, bandiere e striscioni: uno su tutti quello culinario dedicato a Joey Jones, che recita “Joey ate the Frogs’ Legs, Made the Swiss roll, Now he’s Munching Gladbach” in riferimento alla cavalcata del Liverpool fino alla finale, durante la quale il difensore gallese si è mangiato il St.Etienne e lo Zurigo ed è ora pronto per fare un sol boccone anche del ‘Gladbach. E poi i cori, tra cui il meravigliosamente contestuale “Ee-aye-addio the pope is a red!”. Emblematica la dichiarazione che rilascerà Terry McDermott: «non avevo mai visto niente di simile e non ho mai visto niente di simile dopo d’allora. Si respirava una straordinaria atmosfera e fu una sensazione incredibile vedere quei tifosi (…) Camminammo sul terreno di gioco circa un’ora prima della partita e pensammo Cristo, come possiamo perdere di fronte a tutta questa gente? ».
La qualità delle due compagini è indiscutibile, tra i ventidue in campo ci sono leggende viventi, oltre che elementi destinati a diventarlo anche e soprattutto una volta appese le scarpette al chiodo. Gli inglesi non sono più allenati da Bill Shankly (forse il personaggio più importante della storia del Liverpool), ma in panchina c’è il suo uomo di fiducia ed ex assistente Bob Paisley. In campo ci sono Callaghan, il già citato McDermott e il terzino Phil Neal (che nello stesso stadio sette anni dopo segnerà alla Roma in una notte che i giallorossi vorranno poi dimenicare): poi c’è Emlyn Hughes e c’è soprattutto Kevin Keegan, alla sua ultima partita con la maglia dei reds e già in procinto di partire per Amburgo.
Nelle fila del Borussia Mönchengladbach, invece, militano i campioni del mondo in carica Bonhof, Wimmer, Vogts (capitano di questo ‘Gladbach e futuro allenatore della Mannschaft vittoriosa a Euro 96) oltre che Jupp Heynckes (che poi vincerà tutto sulle panchine di Real Madrid e Bayern Monaco).
Sulla carta, insomma, c’è sostanziale equilibrio, ma il Liverpool, spinto dai suoi tifosi, parte forte e per gran parte del primo tempo si riversa nella metà campo tedesca. Rischia anche parecchio in contropiede (vedi il palo di Bonhof da fuori area), ma riesce ad andare negli spogliatoi in vantaggio di 1-0 grazie alla rete di McDermott al termine di una splendida azione. Nel secondo tempo, però, il Borussia torna in campo col coltello tra i denti, schiaccia gli avversari e trova il pareggio con un bellissimo gol del danese Simonsen, che vincerà quell’anno il Pallone d’Oro. Lo snervante forcing che porta all’1-1 è seguito da un enorme boato, nonostante l’inferiorità numerica dei tifosi tedeschi. Sull’onda dell’entusiasmo il ‘Glabach sfiora anche il raddoppio, ma il Liverpool si rimette in carreggiata e torna ad attaccare, trovando il 2-1 con Smith al 64′, imperioso colpo di testa da calcio d’angolo.
La tensione diviene palpabile, troppo alta la posta in palio, i tedeschi provano a reagire ma i loro attacchi risultano sterili contro la concentratissima difesa inglese. In situazioni come questa, spesso a fare la differenza sono le motivazioni, motivazioni che di certo non mancavano a Keegan che, volendo a tutti i costi onorare questa maglia per l’ultima volta, a meno di dieci minuti dalla fine si invola verso l’area avversaria seminando il panico e guadagnandosi un rigore. Si presenta Neal dagli undici metri, spiazza il portiere Kneib, chiude la partita e spezza la maledizione delle squadre britanniche in Coppa Campioni, scrivendo il primo capitolo del famoso “dominio inglese” che durerà quasi ininterrotto fino alla notte del 29 maggio 1985.
daniele
La storica maglia del Liverpool anni ’70 la trovate su retrofootball
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[1] Da “L’orda d’oro”, di Primo Moroni e Nanni Balestrini.
[2] Da “La Stampa” del 26 maggio 1977.