Eriksen, reagisci…. Eriksen, fa’ qualcosa…  Eriksen, fa’ qualcosa di sinistra

A un certo punto guardando la finale di Champions League tra Liverpool e Tottenham Hotspur c’è venuta in mente la ben nota scena del film Aprile in cui Nanni Moretti guardando Massimo D’Alema lo pregava di darsi una mossa e di non farsi mettere sotto dal Cavaliere sul tema della giustizia.
Il destinatario del nostro invito era, invece, il giocatore degli Spurs da cui più di tutti ci si attendeva un cambio di passo, un’invenzione che potesse rimettere in equilibrio la gara, messasi così prematuramente in salita per i londinesi grazie alla bravura di Mané, che aveva saputo centrare il braccio destro tenuto da Sissoko improvvidamente aperto in piena area di rigore, e alla susseguente trasformazione di Salah. E, invece, il 27enne Eriksen, in procinto di migrare forse verso altri e più nobili lidi, non ha saputo incidere, seguendo, a dire il vero, una parabola che in questa stagione non lo aveva visto protagonista così come in altre.
Siamo partiti dal danese, ma in realtà è stato il Tottenham a non dare mai l’impressione di essere “dentro” la finale, in paricolare nei primi 75 minuti, e per questo ha sorpreso la remissività di Pochettino a cercare alternative, visto che il possesso palla degli Spurs era sterile, gli esterni bassi avevano difficoltà a supportare l’azione d’attacco per l’asfissiante pressing del Liverpool (emblmantica l’immagine del povero Rose che a metà primo tempo, superati i primi reds, se ne è trovato altri addosso), Sissoko era poco dinamico e un Kane convalescente veniva sempre sovrastato da Van Dijk e Matip. Unico veramente in grado di dare grattacapi agli avversari e, tra l”altro, a far intuire quanto sia diventato forte Trent Alexander-Arnold, è stato Son. Ultimo pensiero a Winks, che sostituito abbraccia il suo mister: bel tributo del giovane inglese che non sarà mai un fenomeno e forse per questo ha avuto la lucidità di ringraziare chi gli ha concesso un cap nella più importante partita del calcio per club.

Dato agli sconfitti il giusto spazio, passiamo ai vincitori riavvolgendo anche il film del match. Nei giorni che hanno preceduto il match il massimo che ha prodotto la nostra stampa è stato tutto un dibattito tra “giochismo” e “risultatismo”, sulla scia della polemica Adani-Allegri e dell’allontanamento di quest’ultimo dalla panchina della Juventus in attesa del nuovo allenatore (per cui anche Pochettino è in lista), e il dilemma «Klopp o Flop», lasciando intuire che una eventuale sconfitta del Liverpool non sarebbe stata giudicata in base al gioco, alla faccia del dibattito precedente. Insomma, date le premesse, siamo contenti che Klopp abbia vinto e che, quindi, nessuno più lo additi come allenatore perdente in finale (provate voi a battere il Bayern Monaco o il Real Madrid in una partita secca…) e che lo abbia fato senza che i suoi giocassero il solito calcio. Il vantaggio immediato e anche le tre settimane di distanza dall’ultima partita vera giocata dai reds, hanno consigliato una tattica meno d’attacco, ma quanto ad aggressivià e raddoppi nel pressing nessuno sconto. Così, mentre Mané continuava a far passare brutti momenti a Trippier e, di contro, il rientrante Firmino si adeguava al suo opposto Kane quanto a incisività, mentre Fabinho e Van Dijk erano sempre al posto giusto al momento giusto, Alexander-Arnold e Robertson tenevano Lloris in allarme nel corso del primo tempo.
L’unico ammanco del Liverpool, quello di non essere stato lucido nei contropiedi avuti nella prima parte della ripresa (solo una bella azione conclusa con un tiro del neoentrato Milner di poco a lato). Così, Dele Alli, Son e Lucas Moura hanno avuto l’occasione nell’ultimo quarto d’ora di riportare il punteggio in parità, ma in fondo questo è servito per capire quale salto di qualità abbia fatto fare l’acquisto di Alisson ai reds. Il 2-0 di Origi è arrivato poco prima del recupero su uno dei primi corner battuti con un minimo di decenza e ha chiuso il discorso.
Per chiudere la solita nota statistica. L’arbitro Skomina ha fischiato il penalty al Liverpool dopo 25″ di gioco e, solo a causa del VAR, il penalty è stato battuto al 3′, impedendo a Salah di battere il record di Maldini in gol per il Milan in un’altra finale cara a quelli di Anfield. C’è stata però un’altra finale di Champions League caratterizzata da un rigore fischiato subitissimo: quella di San Siro del 2001, quando Gaizka Mendieta portò in vantaggio il Valencia contro il Bayern Monaco. Poi, l’arbitro olandese Jol diede due rigori ai tedeschi, Scholl sbagliò il primo, Effenberg segnò il secondo e il match si trascinò fino al 120′ e fu deciso, a vantaggio del Bayern Monaco, da un’altra serie di tiri dal dischetto. Questo per far capire che andare in vantaggio subito e non soffrire molto non è cosa semplice in una finale di Champions League.

 federico