Storie di rigori. 1° puntata: Matematica e calci di rigore.

Il seguente articolo è stato scritto nel 2013, prima che l’uso dei Big Data sbarcasse nel mondo del calcio, spostando definitivamente il problema dal collezionare una grande quantità di dati (cosa difficile al tempo) al saperli analizzare in modo da ottenerne dei risultati apprezzabili. Nel suo “piccolo”, però, pur parlando solo di calci di rigore, vuole far capire come sia sbagliata l’idea che condire un’affermazione di formule o percentuali la rende inevitabilmente vera. 

Forse tutti coloro che amano il calcio sono d’accordo su una cosa sola: ciò che avviene sul terreno da gioco ha dei grandi margini di imprevedibilità. Il bello di questo sport è che un rinvio errato si può trasformare in un gol e una ciabattata può diventare un passaggio filtrante in profondità. Durante i novanta minuti non c’è niente di sicuro, non c’è scienza che possa prevedere cosa succederà “esattamente” sul terreno di gioco.

Eppure la tentazione di voler far rientrare per forza la matematica o la statistica in studi che riguardano il calcio c’è in molti ricercatori. Una tentazione che molto spesso si basa sull’idea che un qualcosa, detto tramite formule o espresso tramite percentuali, risulta più credibile dello stesso concetto espresso a parole. Una partita di calcio è, però, un macrofenomeno troppo complesso per essere analizzato in modo soddisfacente. Allora, per prima cosa, meglio restringere il campo di indagine e dedicarsi, ad esempio. al calcio di rigore, una parte del gioco importantissima che avviene a gioco fermo e coinvolge due soli giocatori, un portiere e un tiratore.
Ma anche questa restrizione non è garanzia di risultati: portiere e tiratore tra loro si influenzano, mentre ogni equipe di studiosi deve per forza di cose concentrarsi sulle emozioni, sul modo di ragionare di uno solo dei due.

Così, alcuni ricercatori sparsi qua e là nel mondo hanno preferito occuparsi della solitudine del portiere. Ad esempio, l’Università di Hong Kong ha pubblicato un articolo in cui si spiega statisticamente che se il portiere si muove tra i 6 e i 10 centimetri dal centro della porta, lasciando più esposto uno dei due lati, avrà più probabilità di parare tuffandosi dal lato esposto.
Da parte sua, Iaan Greenelees, dell’Università di Chichester, sud dell’Inghilterra, osserva che il portiere ha più probabilità di parare se è vestito di rosso, a causa della sensazione di pericolo che comunica questo colore1. I colleghi di Exeter, invece, suggeriscono al portiere di fissare le anche del tiratore al momento di colpire il pallone per meglio indovinare da quale parte buttarsi.2
Qualche altra equipe si è occupata della solitudine del tiratore. Alcuni ricercatori in psicologia dell’Università di Amsterdam hanno condotto uno studio che mostrerebbe come i portieri, quando sono sotto stress o quando la loro squadra è in svantaggio, si tuffano prevalentemente alla loro destra.

Ma la “ricerca” che in assoluto dovrebbe fugare ogni dubbio agli attaccanti è stata finanziata in previsione dei mondiali tedeschi del 2006 (udite bene!) dai bookmakers dell’agenzia Ladbrokes e condotta dal Dott. David Lewis della Università John Moores di Liverpool,3 indicato come matematico dagli articoli che ne parlano, anche se l’unico matematico di Liverpool che risponde a tale nome e di cui vi sia traccia in rete insegna in un’altra università e si occupa normalmente di fusione catalizzata di muoni, qualunque cosa essa sia.

L’equipe di Lewis propone la seguente formula matematica per il rigore perfetto,

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In essa sarebbero inclusi tutti i fattori che influenzano il tiro, come il numero di passi, la posizione del piede, il modo di colpire la palla, il tempo di reazione del portiere e altro ancora.
Anche se non siamo riusciti a capire come interpretare il valore numerico ottenuto, il responso pare sia questo: tiro a mezza altezza a uno dei lati del portiere, breve rincorsa (tra i 4 e i 6 passi), colpo secco e velocità tra i 90 km/h e i 104 km/h. Oltre a scrivere la formula, Lewis propone come modello del rigore perfetto la massima punizione calciata da Alan Shearer contro l’Argentina al Mondiale del 1998, cosa che fa sorgere il dubbio che prima si è scelto il modello e poi si è tirata fuori una formula…
Ad ogni modo, peccato che quel giorno Shearer non disse niente a Ince e Batty e che l’Inghilterra fu eliminata proprio ai rigori, lasciando la qualificazione ai quarti in mano alla squadra di Passarella.

Dato lo spessore morale dei committenti non ci sorprende il fatto che nessun articolo scientifico sia stato tratto da questa “ricerca” e che in compenso se ne sia avuta una larga diffusione mediatica. E non siamo neanche sorpresi che gli inglesi abbiano perso ai rigori anche contro il Portogallo nel Mondiale 2006 e contro l’Italia a Euro 2012, nonostante il suo portiere Hart vestisse di rosso.

Vujadin Boskov chioserebbe dicendo “rigore perfetto è quando giocatore segna”. E lo zio Vuja ha sempre ragione. Quando la palla tocca la rete, sia come sia, il gol modifica il risultato. E poi ci sono tanti rigori strani, imprevedibili, innovatori o pazzi che sfuggirebbero a qualsiasi equazione o statistica: il cucchiaio di Panenka, il rigore a due piedi di Palermo, il penalty indiretto di Johan Cruijff e Jesper Olsen del dicembre 1982 contro l’Helmond Sport, il tiro con il piede opposto di Ezequiel Calvente contro l’Italia Under 19 o quello realizzato di tacco da Francesco Totti in allenamento.
Non ci sono dubbi, questa matematica non serve un granché a battere i rigori.

Nell’immagine in evidenza: Francia 1998, Roa para il rigore di Batty e manda l’Argentina ai quarti

federico e víctor

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