E il football iniziò a chiamarsi calcio. 4° puntata
I giochi con la palla, opportunamente dotati di regole, potevano fungere da strumento di controllo sociale. Thomas Arnold, preside a Rugby tra il 1828 e il 1841, pensava questo, le altre public school seguirono l’esempio e così in Inghilterra quei giochi divennero sport. Ragioni diverse, riconducibili però alla stessa necessità di disciplinare i corpi e normare i comportamenti delle persone per migliorarne l’efficienza portarono alla nascita della ginnastica nel cuore dell’Europa.
Il Turnvater, il padre della ginnastica come sport, fu Friederich Ludwig Jahn. Questi, all’interno della Confederazione tedesca, propugnò una visione dell’attività fisica che ne accentuava la valenza politico-militare: la ginnastica non più vista come cura individuale del proprio corpo, ma concepita come un’attività che sviluppava le capacità morali e fisiche delle persone, alimentava il cameratismo, lo spirito di gruppo e, con esso, lo spirito della nazione.
Già nei primi anni del XIX secolo Jahn introdusse la sbarra, gli anelli e le parallele, costituì gruppi di ragazzi che si allenavano a cadenza quasi giornaliera e che quasi inevitabilmente andarono a costituire le Burschenschaft, confraternite studentesche ispirate da idee fortemente nazionaliste e pangermaniste e per questo invise a molti dei principati che costituivano la Confederazione. La Prussia, nel processo che l’avrebbe portata a riunire sotto la propria ala tutti gli staterelli tedeschi, avrebbe più tardi sposato la visione di Jahn. Intanto i metodi del Turnvater, così adatti al disciplinamento dei corpi e così funzionali alla creazione di idee quali “patria” o “nazione”, avevano già attraversato il confine ed erano giunti fin nel regno sabaudo grazie a Rudolf Obermann.
Il tramite fu Adolf Spieß, ginnasta nativo del granducato di Hesse e ivi affiliato alla Burschenschaft. Preoccupato dell’evolversi della situazione politica,accettò di diventare nel 1833 maestro di ginnastica a Burgdorf, in Svizzera, dove ebbe come allievo l’allora ventunenne Obermann. Quest’ultimo seppe subito far tesoro degli insegnamenti di Spieß e, sempre nel 1833, si mise in luce in una festa ginnastica a Zurigo tanto da convincere re Carlo Alberto ad affidargli il ruolo di maestro della Scuola Militare Ginnastica di Artiglieria di Torino.
La nomina di Obermann sancì indirettamente la nascita dell’attività sportiva sul territorio italiano. Undici anni più tardi Rudolf fu, infatti, tra i soci fondatori della Reale Società Ginnastica di Torino, la prima società sportiva della storia italiana. Chi, anche solo per curiosità, ha letto il nome delle quattro partecipanti al primo Campionato Federale di Football del 1898 comincia a intuire perché a un certo punto ci siamo messi a parlare di ginnastica. Procediamo, però, con ordine.
Seguendo l’esempio della società torinese, che tra l’altro è ancora attiva a ben 170 anni di distanza, altre società ginniche nacquero sul resto del territorio italiano a partire dal 1860. Addestramento militare, disciplina dei corpi e organizzazione del nuovo Regno d’Italia procedevano di pari passo. Siamo, infatti, nel periodo in cui fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani. Così, su proposta del ministro De Sanctis, nel 1878 la ginnastica fu introdotta nelle scuole e nacquero le ore di educazione fisica. Il problema è che, come ricorda Marco Impiglia, “la ginnastica tra i banchi di scuola […] non incontrava il favore degli studenti. Si presentava noiosa, ripetitiva, costringeva i ragazzi a respirare l’aria chiusa delle aule scolastiche.” [1]
Tutto questo aprì un dibattito che verteva essenzialmente su come bilanciare i tre elementi considerati portanti: la ginnastica metodica, ovvero il lavoro sul corpo e con gli attrezzi ginnici, di stampo tedesco; i giochi di gruppo on air, di origine inglese; gli esercizi militari, ovvero quei movimenti da compiere inquadrati in gruppi (o truppe?) per sviluppare sentimenti collettivi. Perché, a dirla con le parole del prof. Valetti apparse su La Stampa il 17 ottobre 1895, “l’Italia ha bisogno di una disciplina che agisca sulle masse, le consolidi e le affini; di una disciplina che pur lasciando all’iniziativa individuale il distinguersi […], agevoli lo sforzo de’ molti”.
E mentre professori, esperti e politici discutevano di questo, il football association faceva le sue prime mosse e si confrontava con la necessità di passare attraverso le società ginnastiche e le palestre per farsi conoscere dagli italiani.
Nel 1893 Franco Gabrielli, ginnasiarca rodigino, aveva introdotto negli istituti superiori cittadini il gioco con la palla normato dagli inglesi. A distanza di tre anni, pubblicò a proprie spese il volume “Il Giuoco del calcio o Football Association” perché sperava che il football, al pari di altri giochi di squadra come la palla vibrata e il tamburello, prendesse piede tra i giovani che frequentavano le palestre. Così, un po’ per orgoglio nazionalistico (epidemico tra coloro che animavano il movimento ginnastico), un po’ per sano classicismo (endemico tra i nazionalismi italiani), un po’ per occhiolungo politico (l’Italia era in quel momento parte della Triplice Alleanza), il buon Gabrielli nel suo libro riconobbe l’indubitabile origine italica del football, facendo tanto per cambiare riferimenti all’harpastum e al calcio fiorentino. Da qui l’uso della parola “calcio” al posto del barbarismo “football” e la traduzione di tutti i termini che comparivano nel manuale della Football Association in equivalenti italiani.
Il Gabrielli non si limitò, però, a una semplice trasposizione delle regole del gioco inglese in lingua italiana. Il calcio ginnastico che veniva fuori dal volume del ginnasiarca di Rovigo era un gioco leggermente diverso dal football association inglese: le partite duravano meno, non era l’arbitro ma i due capisquadra (anzi, capipartito) a fermare il gioco quando ritenevano la propria squadra danneggiata, non c’erano le punizioni dirette e, soprattutto, c’era anche una gara di classificazione in cui le squadre potevano mostrare le proprie abilità senza rischiare di essere sommerse di gol da compagini più esperte.
Con un po’ di difficoltà la Federazione Ginnastica Italiana inserì il calcio ginnastico nel suo programma e, a partire dal 1896, assegnò dei titoli nazionali anche in questa disciplina. La Società Ginnastica Udinese grazie alle reti del suo capitano Antonio Dal Dan si portò a casa il primo titolo. Il gioco, però, non ottenne molta pubblicità al di fuori del giro.
La morte del Gabrielli, avvenuta nel 1899, e il proliferare dei club di matrice inglese nel triangolo industriale Genova-Milano-Torino determinarono subito la fine dell’esperienza linguistica del calcio ginnastico, prima ancora della fine dell’esperienza sportiva, datata 1913.
federico
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[1] da “I diavoli fanno ginnastica”, http://www.magliarossonera.it/Rubr-Ginn1.html