Ci sono prime volte e ci sono, invece, eventi che si ripetono nella sostanza, anche se con sfumature diverse.
Per la prima volta tutti i club italiani hanno profuso il massimo impegno in Europa League, per la prima volta due squadre hanno raggiunto le semifinali, ma ancora una volta non si è andati oltre: dopo il Parma nel 2004/05, la Fiorentina nel 2007/08 e la Juventus la scorsa stagione, Napoli e nuovamente Fiorentina si sono, infatti, arrese a due passi dalla finale.
I viola hanno sbagliato nel primo tempo dell’andata a Siviglia due occasioni clamorose con Gomez e Mati Fernandez, ma il 5-0 nell’aggregate, per dirla nel linguaggio UEFA, non lascia adito a dubbi: l’undici di Unai Emeri è più forte o, se non altro, più coeso e ha alcune buone individualità. Ha un buon portiere, Sergio Rico, partito come riserva di Beto, eroe della finale di Europa League di Torino dello scorso anno, e ora titolare inamovibile, anche perché neanche con la sua squadra in vantaggio di cinque gol di vantaggio si distrae. Poi c’è Aleix Vidal, un cognome che evidentemente porta bene: esterno offensivo col vizio del gol (due all’andata), che, però, sa ben interpretare anche la fase difensiva. Infine, c’è Bacca, che si trova a meraviglia nell’attacco a tre, specie con Vitolo: puntuale sotto porta, ma anche bravo a smistare e a cambiare posizione, gli auguriamo di non finire al Milan, a meno che i rossoneri non vogliano mettere su una squadra che esalti queste sue qualità.
Tra gli andalusi e il bis in coppa, che però quest’anno vale la promozione nella Champions League 2015/16, ci sono i sorprendenti ucraini del Dnipro Dnipropetrovsk, che hanno fatto fuori anche il Napoli e non solo grazie al gol in fuorigioco segnato da Seleznyov all’andata in zona Cesarini. Al ritorno, giocato a Kiev, nello stadio in cui l’Italia prese quattro gol dalla Spagna agli ultimi Europei, la generazione degli Higuain, degli Hamšik, degli Insigne e dei Gabbiadini ha avuto un assaggio dello strano mix fatto da tempo infame, campo pesante, tifosi a torso nudo che ubriachi cantano, avversari determinati, un mix che caratterizzava molte partite in trasferta nella vecchia Coppa UEFA o in Coppa delle Coppe. In mezzo a questo un portiere, Bojko, che ti blocca il bloccabile e un attaccante, Seleznyov, che porta malissimo i suoi 29 anni, ma riesce a segnarti di testa in tuffo all’indietro mentre si strattona con Britos.
Lo ammetto, l’Europa League, che avevo snobbato come tutti gli italiani fino allo scorso anno, mi ha conquistato, perché mi ha ricordato quei mercoledì di coppa di quando si era giovani, perché è una manifestazione in cui conta il fattore campo e il fattore atmosfera creato dallo stadio, perché è una competizione in cui non abbondano i calciatori fighetti o, se ci sono, non è detto che arrivino ad alzare la coppa.
Sì, ma la Juventus di Allegri? l’impresa compiuta al Bernabéu? il Barcellona di Messi, Suarez e Neymar che elimina il Bayern Monaco? neanche una parola? Beh, proprio nessuna, no.
Quelli tra Juventus e Real Madrid sono stati 180′ di una intensità tale che il calcio italiano, a livello di club, non ricordava da tempo e hanno messo in mostra il controsenso di una Juventus, che passa giustamente per operaia di fronte a una squadra di calciatori ben pettinati e molto costosi, ma spesso fuori ruolo (vedi Isco, James e il Sergio Ramos dell’andata), e che il giorno dopo annuncia l’acquisto di Dybala per 32 milioni di euro. Il fatto è che, però, analisi ne sono state già condotte a bizzeffe, il web ha già ironizzato e allora non mi resta altro che lasciarvi con la solita pillola di saggezza in formato proverbio: “Finché giugno non è all’otto non togliere il cappotto”.
E visto che la finale di Champions League si gioca a Berlino il 6 giugno, speriamo che chi di dovere ne sappia cogliere l’insegnamento.
federico