La finale di Europa League ha aperto l’ultima settimana della stagione 2018/19 dedicata dalla UEFA al calcio dei club, in attesa che qualificazioni europee, Nations League e Europei Under 21 vadano a completare il quadro di questa annata post Mondiale. A Baku non c’era l’incertezza per la federazione di appartenenza della vincitrice, come del resto non ce ne sarà il 1° giugno al Wanda Metropolitano, visto che per la prima volta da quando la Coppa delle Coppe è stata soppressa le finaliste dei due tornei UEFA per club provengono dallo stesso campionato, in questo caso la Premier League che potrà così vantare un record paragonabile a quello ottenuto dalla Serie A nel 1989/90. In quella stagione, infatti, Milan e Sampdoria vinsero, rispettivamente, Coppa dei Campioni e Coppa delle Coppe e la finale di Coppa UEFA vide addirittura sfidarsi due italiane, Juventus e Fiorentina.

Le due inglesi chiamate a contendersi nel lontano Azerbaigian l’Europa League sono state il Chelsea e l’Arsenal. Ora, in un mondo globalizzato in cui i flussi economici governano molte delle scelte effettuate dai principali organi sportivi internazionali, parlare di lontananza potrebbe sembrare fuori luogo e frutto di nostalgia acritica. A Baku poi, tanto per citare solo qualche esempio, da quattro anni si corre un Gran Premio di Formula 1, nel 2015 si sono tenuti i Giochi Europei e nel 2020 si giocheranno partite degli Europei di calcio. Il fatto è che quanto offerto dall’ambiente e dalla location ci è sembrato davvero lontano da quello che va normalmente in scena in occasione di una finale di una coppa europea.
Sin dalla vigilia il caso Mkhitaryan ha fatto capire quanto incauta fosse stata la decisione della UEFA di andare in Azerbaigian per la finale: il giocatore armeno, ai tempi del Borussia Dortmund, aveva infatti saltato la trasferta a Qabala per problemi legati al conflitto del Nagorno-Karabakh, a ottobre del 2018 per gli stessi motivi non aveva seguito i gunners nella trasferta in casa del Qarabag (partita giocata tra l’altro nello stesso impianto della finale[1]) e la possibilità che i londinesi arrivassero fino in fondo al torneo era davvero alta. Certo, come sottolinea Nicola Sbetti, alla fine formalmente è stato il calciatore a boicottare la finale, pur giustificando il tutto con ragioni di sicurezza personale e non con ragioni politiche, ma i controlli dei poliziotti a Baku a tutti i tifosi inglesi che si stavano recando al match indossando la maglia 7 dell’Arsenal fanno davvero pensare a quanto la UEFA abbia voluto far finta di niente di fronte a problemi oggettivi.
A proposito di tifosi, le lamentele di coloro che hanno visto o avrebbero voluto assistere al derby di Londra giocato in territorio azero, non erano solo rivolte all’enorme distanza (4970 miglia dalla capitale inglese, specifica il Guardian), ma anche al problema che in uno stadio da 68000 posti per loro fossero stati riservati solo 12000 biglietti, divisi esattamente a metà tra le due squadre, con un evidente problema di atmosfera che si sarebbe andata a creare. Il risultato è stato che a vedere il match ci sono stati circa settemila spettatori in meno rispetto al già citato Qarabag-Arsenal dei preliminari e che per di più molti dei biglietti riservati alle squadre sono stati restituiti.
Infine, qualche dubbio sul verbo appena usato, “vedere”. Dalle immagini in tv si percepiva una distanza abissale tra spalti e campo (a tutto vantaggio del terreno di gioco che sembrava in pessime condizioni) e anche l’unica telecamera fissa sembrava posta molto in alto, cose che ai passatisti veri avrebbero fatto venire in mente il Delle Alpi con una lacrimuccia. Insomma, questo Olimpico di Baku sembra tanto architettonicamente bello quanto calcisticamente inutile.

Veniamo, però, anche un po’ al match che ha segnato la prima vittoria di Maurizio Sarri in un torneo ufficiale. Una partita strana se la si vuole analizzare partendo dall’assunto giornalistico che le squadre di Sarri esprimono e impongono il bel gioco. A dire la verità, a partire dalla mezzora del primo tempo in poi, il Chelsea è riuscito via via a far spegnere l’Arsenal grazie a un migliore controllo difensivo e a ripartenze più incisive che non vedevano, però, la squadra riversarsi in massa dall’altra parte, ma si affidavano all’estro di un Eden Hazard, ormai all’addio dopo sette stagioni che l’hanno consacrato tra i trequartisti più forti (e speriamo che nessun altro lo farà giocare falso nueve…), o di un Olivier Giroud, che dalle pagine di questo sito non ci stancheremo mai di esaltare per la sua grande intelligenza tattica. Anche se, detto per inciso, stavolta l’ex gunner lo si può anche esaltare per lo splendido gol in tuffo su cross di Emerson Palmieri che a inizio ripresa ha aperto le danze, per essersi procurato il rigore del 3-0 e per lo scambio in velocità con Hazard che è valso il definitivo 4-1. In mezzo due altri gran bei gol, per l’azione, quello del 2-0 di Pedro, o per l’esecuzione, quello del 3-1 di Iwobi.
Ottimi anche gli ultimi 70 minuti di Emerson Palmieri, uno dei quattro italiani in campo, contando Jorginho, l’arbitro Rocchi e l’apparizione finale di Zappacosta. L’ex Roma era andato in difficoltà all’inizio per le iniziative di Maitland-Niles, uno di quei giocatori che per doppio cognome, gioventù, prestanza fisica, ottima capacità d’attacco e minore vocazione difensiva incarna perfettamente lo stile Arsenal di Wenger di cui anche questa versione by Unai Emery ha sofferto. L’esterno destro dei gunners aveva anche fatto dei cross che avevano insidiato Kepa, apparso a dire il vero non all’alteza del suo cartellino, ma i suoi colleghi del reparto d’attacco Aubameyang, Lacazette e Özil non sono mai sembrati in partita. Insomma, l’assenza di Mkhitaryan si è fatta sentire.

Chiudiamo col solito immancabile aggiornamento quando si parla di Europa League. Questa volta a giocarsi la finale sono state due compagini che la Champions League non l’hanno neanche assaggiata. Rimangono così otto in ventuno edizioni le ripescate che hanno alzato quella che una volta era la Coppa UEFA dopo esser state fatte fuori nella fase a  gironi della principale competizione europea per club.

federico

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[1] Non balza forse agli occhi come dovrebbe, ma Qarabağ, Qarabag e Karabakh sono toponimi che designano la stessa regione. Il FK Qarabag, in particolare, ha sede ad Ağdam, ma a seguito del conflitto del Nagorno-Karabakh la squadra si è trasferita prima a Baku (dal 1993 al 2009) e ora a Quzanlı, nel distretto di Ağdam, e gioca le sue partite interne nello Stadio Tofiq Bahramov di Baku