In due momenti della telecronaca, ben distribuiti tra metà primo tempo e fine ripresa, Sandro Piccinini informa che Luka Modrić è il giocatore preferito da Maurizio Sarri, con l’intonazione di chi vuole far passare questa osservazione dell’allenatore dei partenopei come una sagace intuizione. Insomma, con un’enfasi più consona a una frase del tipo «Per Zidane il giocatore più importante del Napoli è Jorginho».
Vedendo quello che l’ex giocatore degli Spurs ora in forza al Real Madrid sta facendo in campo nel corso della finale di Champions League di Cardiff contro la Juventus, vedendo come sin dal primo momento ha iniziato a recuperare palle davanti alla difesa, costringere i bianconeri al fallo, rilanciare l’azione dei suoi mandando fuori tempo gli avversari con finte di corpo, semplici solo all’apparenza, la fatica fatta dal telecronista di evocare il parere del pur bravo Sarri ci sembra sprecata: chi mastica calcio anche solo alla TV si sta rendendo conto da solo dell’importanza di avere un Modrić in squadra.
Avremmo forse potuto iniziare incensando Zidane e il suo uomo simbolo Casemiro, ma quanto il brasiliano ex Porto abbia portato ordine nel centrocampo e quanto Zizou abbia portato ordine nella testa dei madrilisti lo avevamo già detto nel 2016, in occasione della conquista molto più difficile dell’undicesima coppa dalle grandi orecchie.
Saremmo potuti partire dal terzo grande protagonista del centrocampo merengues, Kroos, ma abbiamo un debole per Modrić e in special modo uno di noi due stravede per i giocatori che finiscono in -ić, rappresentanti del bagaglio tecnico che il calcio slavo ha lasciato in eredità ai migliori club europei più che alle singole Nazionali nate dalla dissoluzione (vedi Rakitić, Mandžukić o Pjanić solo per rimanere a giocatori impegnati nelle ultime finali di Champions League).
Infine, abbiamo iniziato così anche perché due dei gol che hanno portato la duodécima al Real Madrid sono stati ovviamente segnati da Cristiano Ronaldo. Il portoghese è davvero un campione perché è stato ancora una volta decisivo e avrà i titoli dei giornali tutti per lui, ma in fondo nel gioco dei suoi ci è entrato solo a sprazzi, complice anche una non perfetta condizione fisica che lo accompagna ormai da più di un anno.
Risolto l’incipit, meglio adesso ricordare i momenti salienti dell’incontro prima di parlare di Juventus. L’undici di Allegri parte come tutti i tifosi bianconeri si attendono: ritmi alti, palle mai buttate via, scambi veloci e Keylor Navas impeganto da Higuain e Pjanić. Però, la prima volta che i blancos ripartono palla al piede dalla propria difesa si capisce che il Real Madrid non teme e anzi si aspettava una partenza così degli avversari. Al 20′ una nuova ripartenza sulla sinistra, da Modrić a Kroos, sponda di Benzema e palla a Ronaldo, scambio con Carvajal, e tiro a effetto che finisce all’angolino. La leggera deviazione di Bonucci sembra ininfluente: Buffon non ci sarebbe arrivato lo stesso.
La Juventus reagisce subito e al 27′ dà l’unico dispiacere della serata a Zidane: la rete di Mandžukić in rovesciata potrebbe, infatti, scalzare dal trono di gol più bello delle finali di Champions quello di Zizou al Bayer Leverkusen. Il pareggio è più che meritato, ma il fatto che i bianconeri nell’ultimo quarto d’ora del primo tempo si chiudano non è un buon segno.
Infatti, il Real Madrid nella ripresa prende campo, avanza con i suoi centrali -a proposito, Varane è un fenomeno-, occupa la trequarti avversaria, cerca con ancor più frequenza uno scatenato Isco e appare chiaro che solo un’espulsione altrui o un rimpallo fortuito possono far rimanere in corsa la Juventus. Va, però, esattamente nel verso opposto: da un lato, l’arbitro Brych non punisce troppo l’aggressività dei vari Carvajal, Kroos o Ramos e per vederli ammoniti ci vuole tanto; dall’altro, al 61′ un gran tiro di Casemiro viene deviato dal tacco di Khedira e prende una traiettoria imprendibile per Buffon. La partita vera finisce qua. Tre minuti dopo una frittata collettiva dei bianconeri permette a Ronaldo su assist di Modrić di fare il 3-1. L’espulsione di Cuadrado e non dell’attore Ramos è a dir poco imbarazzante, ma non è il motivo del tracollo dei bianconeri che prendono gol anche dal nuovo entrato Asensio.
Mentre il Real Madrid festeggia, partono le analisi del post partita. Per la Juventus la quinta finale di Champions League persa consecutivamente è sintomo di una maledizione? O i bianconeri devono essere contenti di averne giocate nove -facciamo otto- e vinte due -facciamo una-?
L’impressione di chi scrive è che questa sconfitta è molto più bruciante di quella di Berlino di due anni fa, dove la Juventus di Allegri arrivò senza i favori del pronostico, con una squadra nettamente inferiore a quella degli avversari e, invece, rimase in partita quasi fino in fondo.
L’allenatore toscano quest’anno non ha in pratica sbagliato nulla. Basta pensare al terribile ciclo di partite tra marzo e maggio: lo scudetto è arrivato solo alla penultima giornata perché Roma e soprattutto Napoli hanno saputo esprimere un bel gioco e vincere con continuità, ma anche perché i bianconeri hanno tirato un po’ il freno verso la fine per non sbagliare match dal non ritorno in Champions League e in Coppa Italia. Prova ne è che quest’anno il secondo trofeo nazionale è arrivato con un secco 2-0 sulla Lazio costruito nel primo tempo e non ai supplementari dopo aver molto rischiato come nelle due edizioni precedenti. Allegri ha poi tirato fuori dal cilindro soluzioni tattiche che hanno esaltato le capacità di Dani Alves e Mandžukić, ha trovato il posto giusto per Pjanić, ha fatto giocare tutti insieme i suoi uomini più offensivi, ha fatto uscire dal Nou Camp la Juventus senza gol al passivo… eppure non ha «messo le mani sulla Coppa» come diceva di voler fare.
La prossima stagione sarà molto più dura. Il recente passato insegna, infatti, che dopo due sconfitte simili per l’incapacità in finale di giocare al massimo delle proprie potenzialità -Amsterdam 1998 contro il Real Madrid e Manchester 2003 contro il Milan, la Juventus, in ambo i casi di Marcello Lippi, visse un anno senza successi, preludio di un cambio in panchina.
federico