Tre giorni vissuti così intensamente il mondo del calcio europeo non li vedeva da chissà quanto. Era stato perfetto il timing scelto da Florentino Perez, Andrea Agnelli e dai quindici club che stavano dando vita alla Superlega per comunicarne la nascita ufficiale: il 18 aprile 2021, un giorno prima della presentazione da parte della UEFA della riforma della Champions League, pensata per venire nuovamente incontro alle richieste delle grandi, in particolare delle inglesi che sono sei e, quindi, troppe per l’attuale format e cercano da tempo una scorciatoia per avere tutte garantite un posto al sole nella manifestazione che più conta e rende[1]. Ma, al contrario dei tre moschettieri che, invece, erano quattro e, quindi, uno in più, le quindici si sono ritrovate subito in dodici, tre in meno, e la mattina del 21 aprile addirittura in sei, vista la fuoriuscita in blocco delle sei della Premier League, travolte da prese di posizioni critiche a tutti i livelli: tifosi, allenatori, calciatori, politici, capo del governo.
Superfluo dire che, allo stato attuale, il boccino è tornato nelle mani della UEFA, che per due giorni ha potuto godere della narrazione di sé come di una sorta di Robin Hood del calcio (vedi Čeferin e la sua retorica sulla Confederazione europea come protettrice della competitività e del merito sportivo) e che ora può concentrarsi sul convincere tutti i grandi club (scissionisti e non) che la nuova formula Champions garantirà loro delle “wild card” in caso di mancata qualificazione diretta[2], un maggior numero di match -discutibili sul piano sportivo perché si dilaterebbe l’attuale fase a gironi- e, quindi, più visibilità e più introiti. Ma sarà sempre Nyon a stabilire le regole e a gestire il flusso di denaro. Del resto, come si deduce dalle candide dichiarazioni del presidente del Real Madrid Florentino Perez, è la gestione dei ricavi il vero nocciolo: «Siamo giunti alla conclusione che sostituendo la Champions League con la Super League avremmo risolto i problemi legati ai debiti».
Raccontata così, sembra che questa nuova puntata della Superlega europea sia durata meno delle precedenti: tipo quella che a fine anni Novanta del secolo scorso convinse i “difensori del merito” che, in fondo, nella loro UEFA Champions League la quarta di Liga o di Serie A poteva, vincendo un solo turno, avere accesso alla fase a gironi, mentre ai campioni in carica di Bulgaria ne sarebbero serviti tre. Un bel modo per consentire alle squadre più forti di attingere con maggiore continuità ai soldi che la Champions League distribuiva e, così, aumentare il solco che le divideva dalle altre.
L’impoverimento, in termini di imprevedibilità, dei principali campionati nazionali europei ne è stato una conseguenza e, se vogliamo, è stato anche una delle molle che ha spinto e continuerà a spingere sempre più una Juventus o un Barcellona a cercare di partecipare a tornei con un maggior numero di partite equilibrate, che poi sono quelle che piacciono tanto ai tifosi da TV. Ci risparmiamo la nota storica sulla nascita della First Division inglese nel 1888, ma ricordiamo che anche quando in Italia, nel primo decennio del XX secolo si fecero i primi tentativi di girone unico, la formula non prevedeva retrocessioni e molte grandi del tempo si lamentavano di dover andare a giocare partite inutili con le piccole.
Ci capita spesso di chiudere i nostri pezzi o le puntate del format radio con considerazioni deprimenti. Stavolta, vogliamo fare il contrario, anche perché il tentativo di golpe Superlega non è stato “un fulmine a ciel sereno che ha oscurato il mondo del calcio tentando di impadronirsi di qualcosa che è patrimonio della gente”, ma una nuova tappa di un processo storicamente determinato che ha i capitali provenienti da Asia e Nord America come principali motori finanziari[3], un processo a cui siamo preparati, ma forse non ancora assuefatti. Vogliamo, invece, sottolineare come alcuni dei protagonisti veri del pallone, di fronte alla prospettiva di ritrovarsi dentro il meccanismo Superlega, perché attualmente sotto contratto con una delle dodici iniziali società scissioniste, non hanno esitato a prendere posizione. Da Klopp a Guardiola, da Henderson, che ha convocato una riunione dei capitani delle squadre di Premier League per discutere sulla situazione, a Toni Kroos che ha dichiarato:
Sfortunatamente non decidiamo noi come giocatori. Siamo burattini di UEFA e FIFA. Se ci fosse un sindacato dei giocatori, non giocheremmo con la Nazionale o la Supercoppa in Arabia Saudita. Queste competizioni servono solo a raccogliere soldi
Già. “Con tutti i soldi che pigliano”, i giocatori dei grandi club non hanno mai pensato a costituire un organismo rappresentativo che dia loro voce in capitolo quando si devono prendere decisioni. Perché Superlega o nuova Champions League che sia, una cosa è certa: nessuno dei padroni di questo calcio pensa a una diminuzione dei costi, a una riduzione dei match, a una gestione più oculata delle risorse umane a loro disposizione. Neanche dopo un anno e più di pandemia.
federico
Nella foto in evidenza: 19 aprile 2021, Leeds-Liverpool. I giocatori della squadra di casa scendono per il riscaldamento pre partita con una maglia con su scritto “Earn it”, guadagnatela, indirizzato al Liverpool -attualmente sesti- e riferito alla qualificazione per la Champions.
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[1] Ci riferiamo a Manchester United, Manchester City, Liverpool, Arsenal, Tottenham Hotspur e Chelsea che, non a caso, sono le uniche sei della Premier League firmatarie del comunicato del 18 aprile che annunciava l’imminente nascita della Superlega.
[2] Secondo la proposta di riforma formalizzata dalla UEFA il 19 aprile, la Champions League dal 2024 riserverà due posti –non per merito diretto– ai club con il coefficiente di club più alto negli ultimi cinque anni che non si sono qualificati per la fase a gironi di Champions League ma si sono qualificati per la fase di qualificazione alla Champions League, all’Europa League o all’Europa Conference League. Se si legge questo in ottica Premier, ecco che, delle sei big inglesi di cui alla precedente nota, quelle rimaste fuori dai primi quattro posti potrebbero lo stesso avere il pass per la Champions arrivando settima o ottava in campionato. Con buona pace di quinta e/o sesta che sarebbero dirottate in Europa League.
Aumentare il numero di posti riservati a questi “nobili ripescaggi senza merito diretto” è una carta che nei prossimi mesi potrebbe giocarsi la UEFA per portare definitivamente dalla propria parte le scissioniste inglesi e non solo
[3] Di pari passo con l’acquisizione di grandi club europei da parte di uomini d’affari statunitensi, cinesi o degli Emirati Arabi, nel decennio precedente si è assistito al tentativo di creare soprattutto in Asia e Nord America campionati che potessero aiutare a far crescere squadre in grado di rivaleggiare poi con i migliori club europei. Questo processo non ha prodotto gli esiti sperati e il tentativo di organizzare con finanziamenti provenienti da fondi americani la Superlega può essere visto come l’inizio di un cambio di strategia. La buttiamo lì, ma in un torneo a inviti, pur se europeo, che difficoltà ci sarebbero a invitare in futuro squadre-franchigie di New York o di Dubai?